La serie, in sei episodi, mette in scena un futuro post-apocalittico in cui l’Europa è frammentata in piccoli stati in perenne guerra fra di loro
Dal 19 febbraio è disponibile su Netflix l’ambiziosa miniserie Tribes of Europa, uno dei titoli con cui il canale leader dello streaming lascia spazio alla voce di paesi di produzione che non siano sempre e solo gli Stati Uniti (una politica a volte premiata da successi come Dark o La casa di carta, a volte penalizzata da scivoloni come il nostrano Luna Nera). Tribes of Europa arriva dalla casa di produzione tedesca Wiedemann & Berg Filmproduktion, la stessa di Dark.
Il genere di appartenenza è la più classica fantascienza distopica. Gli eventi si svolgono nel 2074, dove a seguito di un misterioso evento (una sorta di blackout globale accaduto nel dicembre 2029, andato a sommarsi a forti tensioni fra blocchi contrapposti dello scacchiere politico terrestre) la civiltà è regredita a uno stadio simile a un nuovo feudalesimo, in cui però ci sono ancora abbondanti elementi tecnologici. Le popolazioni europee sono scisse in tribù, ciascuna con ferrei codici sociali, due delle quali (i Crimson e i Crow) intendono conquistare il predominio sull’interno continente e sono a loro volta attraversate da conflitti e tensioni interne. In questo contesto, i protagonisti (due fratelli e una sorella) si ritrovano separati e ciascuno di loro segue la sua strada: Kiano, dapprima schiavo dei Crow, è poi costretto a diventare uno di loro; Liv si unisce ai Crimson nella speranza di liberare la sua famiglia dai Crow; il più giovane, Eljia, deve riportare un misterioso cubo senziente all’altrettanto misterioso popolo degli Atlantidei, da tutti citato senza che si capisca qual è il loro ruolo o da dove arrivino.

Il vero problema: troppe somiglianze con altri prodotti analoghi
Questa miniserie presenta una storia interessante, ancora tutta da proseguire con una seconda stagione, visto che la prima ha un finale completamente aperto, che non porta a conclusione nessuna delle trame presentate: il suo problema è la somiglianza eccessiva ad altre pellicole e serie tv, recenti e non, il cui ricordo è ancora vivo nella mente di tanti telespettatori. Per prima potremmo citare The 100, sia per le atmosfere, sia per i duelli nell’arena circolare (ormai, a quanto pare, panem et circenses è un evergreen), sia per il caratteristico make-up dei guerrieri Crow, che ricorda da vicino le pitture di guerra dei clan Trikru. Ma alla memoria riaffiora anche Il Trono di Spade, dove stirpi e dinastie si affrontavano, tra battaglie, tradimenti e colpi di scena, per il dominio del loro continente; oppure i film della saga di Mad Max, con la presenza di una tecnologia grossolana ma pericolosa. L’estetica dark dei Crow sembra ripresa anche dalla trilogia di The Matrix, ma spruzzata di elementi punk e BDSM (a volte così eccessivi da cadere nel ridicolo); la protagonista femminile che, per l’aspetto e l’uso di una balestra (in un mondo in cui esistono armi automatiche da 200 colpi al minuto), ricorda l’arciera Katniss Everdeen di The Hunger Games; Moses, il simpatico vagabondo che accompagna Eljia, assomiglia a una versione sgangherata e compagnona di Lee Scoresby, l’aeronauta di Queste Oscure Materie.
Tribes of Europe riesce a trovare una sua identità? Abbastanza. Gli assurdi personaggi nelle fila dei Crow possono suscitare perplessità (non si capisce perché un pazzoide isterico dovrebbe essere a capo di una tribù così importante, ma è pur vero che la Storia ci ha regalato perle anche migliori), e il militarismo dei Crimson, a metà fra i marines americani e i caschi blu dell’ONU, sembra troppo moderno rispetto al contesto; ma le trame filano, i misteri abbondano, i colpi di scena sono ben dosati. Interessante e realistica anche la scelta di inserire dialoghi in lingue diverse (per adesso inglese, tedesco, spagnolo), perché in effetti la serie non è ambientata in America come tante altre, potendo quindi contare su un’unica lingua parlata da tutti; spostandosi da una zona all’altra dell’Europa, si incontrano persone di provenienze diverse. A nostro avviso, varrebbe la pena che Netflix mettesse in produzione una seconda serie, così da annodare almeno alcuni dei troppi fili lasciati in sospeso e muovere qualche passo avanti per allontanarsi dai troppi cliché già esplorati altrove.