Lo sciopero degli sceneggiatori che sta sconvolgendo Hollywood ha lasciato vacante un prestigioso appuntamento della 80 Mostra del Cinema: infatti, per la proiezione d’apertura era stato scelto Challengers di Luca Guadagnino. Dopo i ritardi dovuti all’onda di proteste, Comandante di Edoardo De Angelis ne ha preso il posto. Protagonista è Pierfrancesco Favino nei panni del comandante Salvatore Todaro.
Comandante, la trama
Il film narra la storia vera del coraggioso salvataggio che il capitano Salvatore Todaro, comandante del sommergibile Cappellini, compì durante la Seconda Guerra Mondiale.
Siciliano, cresciuto a Chioggia, tenuto in piedi da una gabbia di ferro e corde – un incidente gli aveva creato diversi problemi alla colonna vertebrale – Todaro si presenta fin dalle prime inquadrature per quel che è: un uomo di mare e l’indiscussa autorità del piccolo universo che è il sommergibile.
Nelle acque dell’Atlantico, il Cappellini affonda un piroscafo belga, ma il comandante decide di portare in salvo i 26 sopravvissuti. “Quanto spreco di vita in quella bara”, dice una delle infermiere che saluta i soldati alla banchina, guardando il colosso di ferro allontanarsi nel buio. Già lo spettatore ha la percezione che la protagonista accanto al Comandante, sia proprio lei, la Morte. Non a caso è proprio lui a ripetere che “l’arte del marinaio è morire in mare”.
Il soldato, il comandante integerrimo sceglie: di accudire i suoi uomini, di affondare un piroscafo, di salvarne i superstiti. Due volte. Perché prima trascina la scialuppa verso il primo porto sicuro, poi, quando questa si distrugge, torna a prenderli e li carica a bordo: 26 uomini in più su un sommergibile già in scarsità di provviste e acqua. Vince la legge del mare, non le regole di guerra: “noi affondiamo il ferro nemico senza pietà, senza paura, ma l’uomo lo salviamo”.
Comandante, un film inatteso
Storico e non politico: Favino dichiara di non temere interpretazioni politiche della pellicola e ha ragione. Il film parla di vicende umane, infatti, di Morte e di Vita, di scelte e responsabilità, di fede e amicizia, di coraggio e codardia.
È una pellicola di primi piani e sguardi, Comandante. Occhiate lunghe all’amico Marcon, ai sottoposti, al nemico. Ma anche al mare e al cielo che nascondono insidie, alle parole scritte e mai mandate alla moglie incinta. Pupille scure, mobili, che da sole danno indizi e certezze su eventi troppo disumani per essere descritti a parole.
In tutta quella atrocità, un uomo va oltre le regole che gli sono imposte, va oltre il potere e l’impunità che le leggi marziali gli garantirebbero e si prende la responsabilità di conservarsi umano. Quella a essere salvata, infatti, non è solo la vita dei naufraghi, ma l’umanità di tutti i presenti, sconvolti e incattiviti da una guerra appena agli inizi, da cui pochissimi sarebbero tornati. Un’umanità che, chiusa in una bara di acciaio e bulloni, cerca i modi più inattesi di manifestarsi.
Ogni cosa diventa una preghiera, un mezzo per arrivare in fondo a un incarico, a una corvè. L’amore di una sirena si unisce all’ultima preghiera per la Madonna Stella Maris; l’elenco dei piatti di ogni tradizione culinaria italiana, scanditi come un inno solenne al momento dell’Eucarestia, danno il ritmo, mentre i soldati ricevono una mestolata di zuppa ciascuno.
La sceneggiatura di un premio Strega
Altro punto forte del film sono i dialoghi: serrati, misti di tutti i dialetti del Paese, brevi e arrabbiati. Infatti, mentre il dolore annichilisce e può esprimersi solo attraverso gli occhi di chi non può piangere, la rabbia esplode, trova le parole e i toni fuori controllo che sono solo uno sfogo momentaneo.
Edoardo De Angelis e lo scrittore premio Strega Sandro Veronesi hanno sceneggiato una pellicola difficile, dove sarebbe stato semplice cadere nel banale, nel cliché hollywoodiano dell’eroe, nei discorsi retorici e pieni di parole vuote. Non è così: nessuna parola superflua, personaggi credibili nelle loro fragilità e nei loro atti etici.
Etici, sì, perché solo quando salgono agli onori della cronaca e della storia, certi gesti diventano eroici. Quando si decide di agire in un modo o in un altro si sceglie solo secondo etica. Dice infatti Favino: “non so se Todaro sia un eroe, ma è uno che sceglie di mettere l’essere umano come priorità. Per questo è di sicuro uno da cui si può imparare”.