Il nostro viaggio tra le voci di Edizioni Other Souls continua, portando alla luce autori capaci di raccontare la complessità dell’essere umano attraverso storie intense, autentiche e mai scontate. Dopo aver conosciuto:
Domenica Morabito, con Kaguya: La notte splendente di Noemi Falchi;
- Chiara Cassanelli, con Un pezzo alla volta – con amore, per Rosie Watson;
è il momento di ascoltare Joe Santangelo con il suo romanzo che è un inno alla resilienza. Un viaggio dentro la caduta e la rinascita, nella convinzione che ognuno di noi, anche nel buio più fitto, può trovare una via d’uscita. Con lucidità, intensità e una scrittura che non fa sconti, Santangelo ci porta nel cuore dell’animo umano, tra paura, riscatto e verità.
JOE SANTANGELO
Autore del libro Storia di un antagonista.
Joe Santangelo, classe 1969, è Dirigente d’azienda, docente di Psicodinamica del confronto e di Comunicazione strategica, business coach certificato, nonché visiting professor per diverse Business school internazionali. Approda alla cifra narrativa del romanzo dopo aver ampiamente sperimentato la manualistica e la saggistica, stili che gli hanno permesso di esprimere specifiche competenze maturate su temi sportivi ed economici. Avido amante di musica, letteratura e antropologia, sostiene di aver imparato tutto, ma proprio tutto, dallo sport, che continua a prati- care con intensità. Premio alla Carriera Letteraria nel 2023, Joe Santangelo ha conseguito molteplici riconoscimenti letterari, nazionali e internazionali, venendo premiato come autore rivelazione del mese nel mercato letterario americano nel 2024. La Voce è il suo ventiduesimo lavoro edito, secondo classificato al Premio Caravaggio per le opere inedite.
• Che argomento tratta il tuo libro, c’è un aneddoto legato alla scelta del titolo?
Questo libro è sulla caduta. Il personaggio principale ha avuto la fortuna e la forza, ha ricevuto l’amore e ha isolato la motivazione, ha sfidato gli eventi con coraggio e umiltà e alla fine ha avuto ragione delle sue difficoltà. Ha saputo mantenere la lucidità necessaria per trasformare un enorme problema in un piano e ha sfruttato l’occasione di certe cadute per spiccare nuovamente il volo. È un personaggio ordinario, privo di poteri straordinari, e rappresenta ciascuno di noi. Quando ci ritroviamo nel buio, all’ombra generata da noi stessi. Quando siamo sopraffatti dalla paura e dalla rabbia e da queste restiamo asserviti e puniti. Quando, ancora feriti, siamo costretti a reclutare le energie residue, perché le responsabilità lo esigono.
Noi ci possiamo arrendere: è un’opzione possibile ed è anche legittima. Abbiamo il diritto di arrenderci. Prenderemo posto sugli spalti dalla parte dei vinti e resteremo seduti a osservare, da spettatori, lo svolgersi della nostra stessa vita. Resteremo al caldo, non ci stancheremo, e ci racconteremo del nostro “falso incidente” per il resto della vita che ci sarà data. Trasformeremo il nostro linguaggio, i nostri ricordi: ci racconteremo tutto ciò di cui avremo bisogno per sentirci più o meno risolti. Il senso della resa ci porterà a reinterpretare la realtà e noi sopravviveremo fino a quando la morte non ci troverà. La resa richiede un talento speciale: accettare di convivere con il rimpianto. “Io vivrò rinunciando alla possibilità di provarci“.
Oppure noi possiamo decidere di non arrenderci.
Cercheremo e troveremo l’energia necessaria a sfidare le difficoltà. Ricorderemo quotidianamente i sogni e le aspettative e così faremo il primo passo, e giorno dopo giorno quei passi diventeranno più rapidi e ordinati, fino a trasformarsi in una corsa. Ritroveremo lentamente la gioia, la sorpresa e la tenerezza e riconquisteremo la dignità e la voglia di arrivare. Il riscatto esige un’abilità differente: accettare il rischio del fallimento. “Io darò tutto senza risparmiare nulla. Otterrò quello che merito, non potrò accampare scuse“.
• Quali sono state le circostante che ti hanno portato alla sua creazione?
Ciascuno di noi ha il dovere di salvarsi da solo. Ciascuno di noi ha anche il potere di farlo. Laddove un soggetto amico fosse disposto a offrirci un aiuto, in realtà molto poco potrebbe fare per risollevarci da una situazione critica. In tutti gli altri casi dobbiamo accettare con lucidità e cinismo che – semplicemente – agli altri non interessa la nostra condizione. In ogni caso: al mondo esterno non interessa affatto il nostro percorso di evoluzione personale. La scaturigine del romanzo risiede in questa verità, che per me è un assioma. È un precetto freddo e cinico, ma regola il mondo delle relazioni umane. Dobbiamo salvarci da soli, dobbiamo imparare a risolverci da soli. Ho semplicemente sentito il dovere di raccontare una storia attraverso la quale questa regola emergesse da sé, prendesse il potere e si raccontasse da sola.
• C’è una componente autobiografica che predomina/si nasconde nella storia?
Io credo che ogni autore porti qualcosa di sé, in ogni e qualsiasi opera. Si tratti di un saggio, di un romanzo, di un manuale o di un semplice racconto: dentro quelle righe c’è sempre, doverosamente, immancabilmente l’Autore. Se la storia non parla tecnicamente di sé, allora parla della prospettiva attraverso la quale l’autore vede il mondo. Nel romanzo c’è molto di Joe Santangelo, della sua parte emotiva e della sua parte razionale.
• Al di là di una morale, questa storia cerca di connettersi al lettore per trasmettere quale messaggio?
Ce la puoi fare! Recluta tutte le energie che hai a disposizione, rimboccati le maniche, respira e passa all’azione: ce la devi fare! Qualunque condizione tu stia attraversando e quantunque sia l’entità del tuo problema, del dolore, dello sconforto: ce la farai! Che tu creda di farcela oppure creda l’esatto contrario, avrai comunque ragione. Il senso del messaggio è tutto qui: ciascun essere umano subisce sollecitazioni dal mondo esterno. Ad alcune di queste attribuisce una connotazione positiva, ad altre una negativa. A tutti – nessuno escluso – è richiesto di affrontare la propria vita e andare incontro al proprio giorno, ci sia sole all’orizzonte oppure nebbia, pioggia e tempesta. I problemi che dobbiamo affrontare sono occasioni per evolvere, non sono il male: sono la cura! Di fronte a un evento cruciale ci ritroviamo smarriti, distrutti, indeboliti, mortificati. Siamo impauriti, perché non riusciamo a comprendere come se ne possa uscire fuori. Vorremmo che non fosse mai successo, eppure sì, è successo, e noi siamo lì, sotto l’effetto ipnotico di quell’evento. Ma il successo si trova esattamente dall’altra parte della paura. La paura va affrontata, non evitata. Dobbiamo entrare in quell’incendio e ne dobbiamo uscire integri. Dobbiamo attraversare una valle oscura e solitaria e dobbiamo farlo da soli. Dopodiché saremo un individuo diverso, un individuo più forte, più evoluto, più equilibrato. Saremo un essere umano migliore.
• Hai incontrato delle resistenze, anche di natura personale, nella scrittura del racconto, se si ci spieghi quali e perché?
Nessuna resistenza. Ho ceduto le redini a una voce interna che ha scritto il romanzo in mia vece, tenendomi costantemente aggiornato. A lavoro compiuto mi sono dovuto complimentare, malgrado io sia molto severo nei giudizi. L’autore, questa volta, ha fatto un buon lavoro.
• Ci sono tematiche sociali che si intrecciano nella trama del racconto? Ti va di parlarcene?
Ogni tematica è sociale. Non esistono temi che non abbiano un riverbero sull’uomo, sulla sua socialità, sulla foresta dei sentieri umani. Il tema della caduta, della mortificazione e della tragedia personale, cui segue quello della consapevolezza e della scelta virile di una rinascita, per completarsi nella vittoria di sé sulle insidie del mondo, è una tematica sociale così come una guerra tra paesi vicini, l’attivazione di dazi alle importazioni e il teorema dell’indeterminazione di Heisenberg lo sono. Non c’è alcuna differenza qualitativa, nel mio modo di vedere il mondo. Ogni fatto, evento o informazione di cui abbiamo conoscenza e consapevolezza determinano un’influenza sull’emotività, sulle convinzioni, sui comportamenti di ciascuno di noi. Questa correlazione, per me, fornisce a qualsiasi tema una connotazione sociale. Se ancora non fosse chiaro: “sociale” non significa “alla moda”, come l’uomo medio tenderebbe a pensare. Sociale significa “umano”, ovvero pertinente alla fenomenologia dell’essere umano: nascita, vita, morte. Tutto, pertanto è sociale, perché tutto, direttamente o indirettamente, ci compete.• Quanto credi sia importante l’apporto letterario e artistico per sostenere e affrontare tematiche sociali?
L’Artista, all’interno della cui figura risiede anche l’Autore, lo Scrittore, il Romanziere, è fondamentale per l’intellighenzia letteraria, filosofica e anche politica di un popolo e di una civiltà. Quella ristretta élite di intellettuali – intendo – riceve dall’Artista una visione parziale e personale del mondo e della socialità che difficilmente la media della popolazione riuscirebbe a maturare o a rappresentare con quella stessa istantaneità e, ancora meglio, con quella cristallinità. Immaginiamo un quadro, un cortometraggio, una fotografia, il messaggio di un libro. Quella élite, infine, accoglie il carico della responsabilità di semplificare, decodificare e diffondere al mondo quella prospettiva, con l’aspettativa che possa favorire una riflessione o addirittura un cambiamento. È quello che accadeva in passato, fino agli anni 50-60 del secolo scorso. Nelle due decadi successive abbiamo assistito all’emancipazione da questa regola non scritta. Viveva, fino a quell’epoca, il pregiudizio di una “alterità” tra artista e fruitore, tra creatore e popolo, tra intellettuali e incolti. Questo pregiudizio, prudentemente protetto da un mondo poco tecnologico, molto classista e quasi primitivo, se comparato a quello attuale, determinava un sistema di autorappresentazione che legittimava l’artista attribuendogli anche il ruolo di ispiratore, a volte di leader. Dunque, la mia risposta è affermativa, ma va contestualizzata. Sì, certo: l’apporto letterario può sostenere tematiche sociali: lo ha fatto fino al secolo scorso, in alcuni casi forte di un messaggio libero e indipendente, in altri prostituendosi a una causa politica e perciò stesso partitica, in altri ancora rendendosi suscettibile di interpretazioni molteplici, a volte addirittura contraddittorie. È stata un’epoca bella, grande, eccitante, che sfortunatamente non ho vissuto, ma che ho studiato e ho amato. Parte dai presocratici e arriva fino a sociologi come Karl Popper o a matematici come Bernard Russel. Poi è arrivata la tecnologia. Io temo che oggi la creazione letteraria svolga un ruolo minimo nel favorire, sostenere tematiche sociali o eventualmente contrapporsi a malcostume sociale. Quel pregiudizio è caduto: oggi non c’è più alcuna differenza tecnica tra artista e fruitore, intendendosi per tecnica la distanza qualitativa tra musicista e buon-musicista, scrittore e buon-scrittore, pittore e buon-pittore. Chi sostiene il contrario è di parte oppure sta mentendo. La nostra attuale società riconosce classi unicamente in ambito politico ed economico, laddove è possibile “quantificare” una graduatoria. Il sistema attuale si adopera facoltosamente a proporre una visione democratica, plenipotenziaria, egualitaria e paritetica in ogni altro ambito. E la creazione artistica, ahimè, rientra in questa seconda categoria. Chiunque può dire “sono un artista, sono uno scrittore”. Chiunque, anche chi sta rispondendo a questa domanda.
• Ambisci a qualche riconoscimento particolare per la tua professione di autore? Qual è la meta che speri di raggiungere, se c’è.
La scrittura è, per me, una palestra. Mi cambio, infilo le scarpe da ginnastica, porto con me una bottiglia d’acqua, apro una porta segreta di cui sono il solo a possedere la chiave, entro in un altro mondo e mi dico: “Adesso vai a correre, suda e cerca di trarre la migliore soddisfazione da questo momento, perché poi si torna a casa!”. Ogni sessione di scrittura è una sessione di allenamento: mi diverto, imparo qualcosa, proseguo nella programmazione della mia gara sportiva. È una sfida: l’idea, il processo, la stesura, la correzione, la pubblicazione. Io credo che la scrittura sia sufficiente a sé stessa. È enormemente soddisfacente sapere che altri dedichino il proprio tempo a leggere il prodotto dello sforzo altrui, perché il tempo è la valuta più preziosa. Con queste idee nella testa ho vinto numerosi concorsi mio malgrado, lo dico rischiando di apparire immodesto. Il mio piccolo sogno sarebbe quello di vedere, un giorno, la trasposizione cinematografica di uno dei miei romanzi, al cinema.
• Scrivere è un percorso innanzitutto emotivo, quali sono stati i momenti più intensi legati alla scrittura dei tuoi libri, e perché?
Ciascun autore scrive in accordo al proprio metodo. Il mio metodo è quello del ricordo. Io scrivo costantemente, incessantemente, vigorosamente in ogni momento della giornata. Non mi occorre un PC, una penna e un foglio, perché io scrivo nella mia mente. Creo intere frasi, ci torno sopra e le miglioro. Costruisco trama, connotazione dei personaggi, biografia, età e motivazioni. Vedo nella mia mente il volume segmentato in fasi, vedo il protagonista, l’antagonista, l’inizio e la fine. Questa fase può durare anche molti mesi, durante i quali mi informo, studio, cerco di rispondere alle domande che lo stesso lettore vorrebbe porsi, se cominciasse a leggere quella storia. Sono, tutti questi, momenti certamente emotivi, perché mi sento letteralmente attraversato da una vibrazione costante e ascolto una voce che mi invita a continuare l’esplorazione, a riflettere, a tenere accesa una fiamma, benché il vento freddo della routine le stia tramando contro. Poi si verifica un momento di pura magia. Accendo il PC e mi ritrovo dinanzi a un foglio bianco. Le mie mani prendono il comando, diventano più intelligenti della mia mente. Semplicemente cominciano a scrivere. Sono veloci e sicure, perché sanno quello che fanno. Da quel momento in poi io mi ritrovo a fare un esercizio molto semplice, quello del ricordare. Io devo semplicemente ricordare la storia che mi sono raccontato nei mesi precedenti. Questa fase, quella che tecnicamente definiremmo della stesura del dattiloscritto, è una condizione di estrema lucidità. Il mio talento, a questo punto, consiste semplicemente nell’isolare la parte emotiva e favorire quella lucida e razionale. Isolando la parte emotiva io riesco a dar voce alla storia, che pur contiene istanze emotive, di relazione, di odio e amore, di umanità. Dunque, risponderei che no: la mia scrittura non è emotiva, è il concepimento del libro a essere affetto da questa malattia dell’anima. Ciò nonostante, ho costante riprova della presenza dell’emotività nella mia piccola produzione letteraria, giacché mi ritrovo a commuovermi tutte le volte che, in occasione di presentazioni dei volumi, mi ritrovo a commuovermi durante la lettura di un passo.
• Credi che la lettura oggi stia subendo una trasformazione? Se sì in che ambito.
La mia opinione personale è decisamente secondaria, priva di interesse per chiunque, ma siccome voglio esercitare il libero arbitrio, allora cercherò di esprimerla, anche se risuonerà molto impopolare. Innanzitutto, occorre definire meglio la semantica del termine “letteratura”. Se vogliamo riferirci a quel genere di arte linguistica e semiotica regolamentata da norme di stile rigorose e diverse per segmento di letteratura, allora risponderei che no: la letteratura non sta cambiando e non cambierà. Mi sto riferendo alla letteratura dei classici: scrittura creativa, fiction, filosofia, psicologia, sociologia, critica letteraria. Mi sto riferendo anche alla manualistica di statura universitaria: ingegneria, economia, finanza, economia politica, politologia. Ebbene i Classici e solo i classici, per me, meritano di essere riconosciuti come “autori di letteratura”. La lettura di questi giganti del passato concede al lettore la possibilità di aggiungere qualcosa al proprio bagaglio emotivo e, a volte, anche razionale. I Classici sono gli abilitatori di una evoluzione interiore, perché possiedono la forza potenziale di smuovere convinzioni limitanti, di sovvertire i pregiudizi, di sollecitare l’anima e indicarle la strada per esprimere sé stessa, per affermarsi nel mondo reale. E forniscono dunque le leve per una trasformazione in atto, incoraggiando l’azione. Leggere, rileggere, capire e amare i Classici permette al lettore di imparare a scrivere, a parlare e dunque a comunicare in modo empatico ed efficace. Se invece, come l’attuale sistema economico, politico e sociale suggerisce e poi esige, per letteratura vogliamo intendere estensivamente tutti i molteplici strumenti di comunicazione del proprio sé, allora il mio giudizio cambia in modo radicale. La religione predominante di questo millennio e di quelli a venire non è uno dei tre monoteismi a noi noti, ma una quarta. È difficile da ammettere, ma ci si arriva per approssimazione progressiva, per sforzo di auto-sincerità. La religione imperante, oggi, è la rete, il WEB, è internet, inteso in tutte le sue possibili declinazioni. È una forma di governo democratica, egualitaria, paritetica e accessibile a tutti. E tutti coloro che ne hanno accesso sono, contemporaneamente, artisti e fruitori, scrittori e lettori, sono “io” e sono “noi”. A queste condizioni direi che la letteratura, quand’anche voglia essere intesa in senso digitale, ovvero con connotazioni e gradazioni qualitative, è un oggetto paradossale, perché indefinibile. O tutto è letteratura, oppure nulla è letteratura, giacché la carenza di regole rigorose, di forma e contenuto, rende illegittimo il giudizio di un critico come di una qualsiasi altra élite. Gli stessi scrittori che, riuniti in comitato, giudicano la qualità di un libro attribuendogli un premio, stanno incolpevolmente commettendo l’errore di sentirsi legittimati al giudizio, nonostante siano privi di un criterio oggettivo, e quand’anche fossero dotati di un criterio, questo non sarebbe oggettivo, perché qualcun altro deve averlo concepito e anche questo soggetto sarà caduto nel tranello di una legittimità autoreferenziale: si sente investito di un potere che si è attribuito da solo. Dunque, chi giudica l’opera letteraria? La religione del WEB ha stabilito che l’unica regola è l’autocrazia; pertanto, definire un libro pubblicato letteratura e un post sgrammaticato immondizia è un illecito, è un giudizio opinabile, è un reato intellettuale e classista. È questo ciò che penso. E per questo stesso motivo io dico che sono uno scrittore come ogni essere umano lo è. Anche la massaia che trascrive i propri pensieri su un foglietto di carta, prima di andare al mercato.
• Nella tua professione di autore ritieni sia più determinante, per ottenere risultati, l’impegno e lo studio o semplicemente il talento e la passione?
Io non possiedo talento, eppure ho vinto molti premi letterari. Io possiedo una grande, straripante, arrogante passione, ma non è certo sufficiente a fare di me uno scrittore: la passione non è azione. È il carburante, certo, ma c’è un motore che lo deve macinare, altrimenti la macchina non può viaggiare. Si accende, ma poco dopo si spegne, mentre il libro è un viaggio che dura centinaia, migliaia di chilometri. Allora come è possibile sviluppare una trama, cominciare, continuare e completare il lavoro? Chi ti dà l’energia? Chi ti fornisce l’idea? Cosa ti permette di proseguire, di superare tutti gli ostacoli, di scrivere l’ultima parola dell’ultimo paragrafo dell’ultimo capitolo? Il mio talento è l’impegno e il segreto di questo impegno è la costanza. È la costanza che ci permette di vincere le piccole e le grandi battaglie ed è la costanza che ci permette di ricominciare a scrivere, dopo aver terminato la stesura di un libro, ed è sempre la costanza che ci viene in aiuto quando tutto sembra perduto e il libro che stiamo scrivendo sembra perdere di significato. La scrittura educa alla pazienza. Io non ho talenti speciali, sono dotato di un’intelligenza media e di una sufficiente capacità linguistica. Il mio vero talento è alla portata di chiunque e si chiama costanza.
In questa intervista, Joe Santangelo ci ha donato molto più di una semplice presentazione del suo libro. Ci ha regalato una visione: quella di un autore che scrive per ricordare a ciascuno di noi che la vera battaglia è quella con noi stessi – e che vale sempre la pena combatterla.
Le sue parole ci parlano di costanza, impegno, libertà intellettuale e della forza di rialzarsi. Perché, come scrive lui, “il successo si trova esattamente dall’altra parte della paura”.
Continua il viaggio con gli autori di Edizioni Other Souls. Ogni voce, un mondo. Ogni autore, un’ispirazione.