Le storie non si scrivono mai da sole. Dietro ogni parola, ogni personaggio, ogni svolta narrativa, c’è sempre un cuore che batte, una mente che lavora e un’autrice o autore che ci mette tutto sé stesso. Con questo spirito prosegue il nostro viaggio tra le voci degli autori di Edizioni Other Souls, alla scoperta di chi – tra dubbi, sogni e colpi di scena – decide ogni giorno di credere nel potere della scrittura.
Dopo aver conosciuto:
è il momento di incontrare Chiara Cassanelli, editor e nerd dichiarata ci racconta un giallo irriverente, pieno di riferimenti alla cultura pop e alle sue passioni più profonde, ma anche una storia che parla di identità, neurodivergenza, amore e rispetto. Una voce fuori dal coro, capace di mescolare ironia e riflessione con sorprendente naturalezza.
CHIARA CASSANELLI
Autrice del libro Un pezzo alla volta – con amore, per Rosie Watson.
Quando ero piccola odiavo scrivere, finché non ho capito che, da introversa, era il modo migliore per esprimermi e farmi capire. Ho una laurea magistrale in DAMS, con una specializzazione in Drammaturgia teatrale, che non mi è servita a molto, ma ha alimentato la mia mania.
Ho iniziato a fare lavoretti prima della maggiore età e poi ho lavorato in mille diversi campi, cosa che mi ha dato l’impressione di vivere tante vite, finché non ho scelto il mondo editoriale. Sono editor e studiare la scrittura mi ha aiutato a colmare quelle lacune che i corsi fatti in passato non mi avevano aiutato nemmeno a scoprire di avere.
Lavorare con le storie è la cosa che preferisco in assoluto, anche se a malapena riesco a pagarci le tasse e le bollette, ma non mollerò, perché è sempre stato quello che ho voluto fare. O, almeno, finora la cazzimma non mi è ancora passata!
Ho sviluppato un amore viscerale per i libri all’età di cinque anni e, da quel momento, non ho mai smesso di leggere: il blocco del lettore non so proprio cosa sia. Poi ho incontrato Sherlock Holmes e ho trovato la mia anima gemella per sempre.
Lui stesso mi ha fatto scoprire la fascinazione per Londra, che è diventata la mia città preferita. Non ricordo un momento della mia vita in cui non ho passato almeno una parte del mio tempo a inventare personaggi, e Rosie è figlia di tutte le influenze subite nel corso del tempo.
Spero, prima o poi, di liberare tutti quelli che vivono nella mia mente. Ma, tranquilli, non tutti insieme. Magari… un pezzo alla volta.
• Che argomento tratta il tuo libro, c’è un aneddoto legato alla scelta del titolo?
Un pezzo alla volta è un giallo classico un po’ alternativo perché incastona le tecniche della scrittura dell’età dell’oro nei giorni nostri, mescolando a essa cultura punk e tecnologia.
È la storia di una giovane che si avvia all’età adulta, con una pesante eredità sulle spalle, nell’intento di trovare il proprio posto nel mondo e solidificare la propria identità.
Rosie è figlia di quelli che sono due veri pilastri della letteratura di genere (e nella sua realtà, anche delle indagini private) e porta con sé tutte le ansie che i millennials di oggi potrebbero avere. Ha una vera venerazione per i suoi due papà e una forte famiglia acquisita che, nonostante la sua scarsa capacità sociale, ha messo insieme nel tempo; ed è circondata da tanto amore ma non è quasi in grado di accorgersene perché il suo cervello non funziona in modo canonico.
La trama è incentrata su una macabra caccia al tesoro perché un misterioso stalker, convinto di attrarla con dei “regali” davvero originali, la perseguita nella speranza di divertirla. Ovviamente sortisce una reazione del tutto contraria e questo fa sì che lei si ritrovi a correre contro il tempo per cercare di proteggere sé stessa e le persone che ama. Nel frattempo, viene contattata per indagare su una scomparsa e i due casi paralleli le rendono la vita davvero difficile, permettendo al lettore di scoprire che è molto più umana di quanto non si senta lei stessa.
C’è un aneddoto davvero divertente legato alla scelta del titolo.
All’inizio avevo deciso per tutt’altro, un titolo che chiunque mi ha bocciato, anche se a me sembrava così ironico e carino (per questo è utile avere un’editor come la mia!). E per questo non ne parlerò.
Poi, dato che il romanzo era appunto incentrato su una caccia al tesoro, avevamo optato per quello finché non ci siamo accorte che c’erano già tantissimi romanzi intitolati così. Dopo diversi giorni di crisi, siamo giunte a una decisione. Anzi, tutto è partito da quella che alla mia editor era parsa una battuta di cattivo gusto… mentre a me è piaciuto moltissimo! Sì, ADORO le cose macabre!
• Quali sono state le circostante che ti hanno portato alla sua creazione?
Non è facile da spiegare, ma quello che mi lega alle storie (e alle idee che mi faccio in proposito) crea in me una sorta di attaccamento viscerale che mi porta ad affezionarmi a personaggi e situazioni in maniera profonda, così da provare nostalgia quando non posso averci a che fare.
Così, una volta finito di leggere tutti i romanzi, i racconti, gli apocrifi, i fumetti, aver visto film, serie tv, sondato immagini di ogni tipo e tutto ciò che esiste inerente a quell’universo narrativo, comincio a sentirmi orfana.
Poi, insomma, nella mia testa Sherlock e John hanno sempre avuto un rapporto che andava al di là dell’amicizia, e questo mi ha portato a sposare una delle teorie del fandom per cui John Watson avesse avuto davvero una figlia e ho poi immaginato che, be’… Sherlock l’avesse adottata dopo la morte della moglie. Ed ecco qua: ho creato da sola la mia occasione per esplorare ancora quell’universo narrativo e metterci dentro anche qualcosa di mio!
E poi Rosie ha tante caratteristiche di cui mi sarebbe sempre piaciuto raccontare, un giorno o l’altro, così da poter dare spazio anche alle persone simili a lei (e un po’ anche simili a me).
Perciò, ecco, era un momento davvero difficile della mia vita. Avevo bisogno di qualcosa che mi portasse via dalle cose terribili che mi stavano succedendo, e un luogo della fantasia tutto da esplorare era proprio quello che ci voleva. È stato parte della mia salvezza.
• C’è una componente autobiografica che predomina/si nasconde nella storia?
Ehm… obiezione, Vostro Onore!
Ok, scherzi a parte, mettiamo in chiaro una cosa sopra a tutte le altre: io non sono Rosie e Rosie non è me, anche se molti credono che sia così.
Però, si dice: scrivi di quello che sai, giusto? Perciò ho deciso di partire da una base che conoscessi bene per poter descrivere con dovizia di dettagli tutto ciò che lo richiedeva. Quindi, qualche azione e reazione di sicuro potrebbe essere frutto di esperienze vissute e affrontate. Però, però, c’è una cosa da dire e da tenere sempre presente: Rosie è MOLTO più fica di me. E io di certo non sono né così agile e scattante, né così spericolata, né ho un carattere così tanto difficile. Anche perché, poi, raccontare sempre e solo di sé stessi, seppur romanzandolo, trovo che sia noioso e a un certo punto possa esserci il pericolo di finire le cose da dire e di conseguenza ripetersi.
Comunque ci sono due elementi per me molto importanti che hanno fatto parte e tutt’ora sono presenti nella mia vita. La cultura punk che, al contrario di quanto in molti possano credere, è davvero una bella corrente di pensiero che comprende l’aiuto reciproco e la condivisione, oltre che l’essere fieri della propria diversità; e il concetto di “found family”, ovvero quella famiglia che ci si sceglie e alla quale non si è legati solo per una mera questione di sangue ma da qualcosa di più profondo, che si collega all’elemento degli Irregolari.
• Al di là di una morale, questa storia cerca di connettersi al lettore per trasmettere quale messaggio?
Mi preme soprattutto comunicare questo: attenzione a cosa si intende per “amore”.
L’amore è un sentimento bellissimo e complesso che comprende mille sfaccettature, ma i rapporti spesso si reggono sul filo del benessere mentale di chi li vive (o vorrebbe viverli) e il confine con l’abuso può essere labile. Dobbiamo fare molta attenzione a come trattiamo il prossimo, dobbiamo imparare il rispetto per l’altra persona e l’importanza delle sue esigenze. Questo significa che un rapporto sano ha bisogno di moltissime accortezze, che partono certamente dal conoscere sé stessi, ma anche chi si ha accanto, tenendo conto dell’altrui spazio personale.
Qui ho voluto, in maniera molto eclatante e palese, denunciare lo stalking e dare la possibilità al lettore di capire che la cattiveria può davvero nascondersi ovunque, non solo dove siamo portati a guardare.
Questo non significa che dobbiamo essere tutti paranoici (per carità!), ma di certo dobbiamo tener conto soprattutto delle nostre esigenze e di come le persone con cui abbiamo a che fare le considerano.
• Hai incontrato delle resistenze, anche di natura personale, nella scrittura del racconto, se si ci spieghi quali e perché?
Qualcuna sì, all’inizio, in fase di progettazione.
Con l’idea di voler dare spazio a determinate categorie, mi sono resa conto di stare facendomi prendere forse un po’ troppo la mano. Da quel punto di vista, infatti, mi sono dovuta ridimensionare un po’, perché volevo evitare di infilarmi in pantani dai quali poi sarebbe stato difficile uscire.
Sono molto attenta a quello che scrivo, perché sono quella che si dice una “sensitive reader”, per questo mi sono presa l’impegno di esprimermi sempre in un modo inclusivo e che non offenda nessuno.
E poi, signori, vogliamo parlare di quella simpatica cosuccia che si chiama “sindrome dell’impostore” e di quante volte mi sia trovata a chiedermi che cacchio stessi facendo io che sono l’ultima arrivata sulla terra?
Insomma, ci sono autori bravissimi che hanno scritto libri bellissimi che hanno venduto tantissimo e che tutti amano (compresa me), che cosa mi salta in mente di mettermi a fare la stessa cosa che loro sanno fare molto meglio e da molto più tempo?
Con questo voglio dire che ho mollato tantissime volte? È chiaro.
E che altrettante volte mi sono sentita chiamare dalla mia storia perché mi mancava e non ho potuto fare a meno di rimettermi a scrivere? Mi pare ovvio.
Infatti, guardate qua che è successo.
• Ci sono tematiche sociali che si intrecciano nella trama del racconto? Ti va di parlarcene?
Sono una vera rompiscatole, e dunque ce ne sono assai.
Abbiamo già parlato di stalking, e di come sia importante per me che questo tema salti agli occhi del lettore. Ho detto anche di come ho voluto mettere in luce determinate categorie, tra cui la parte queer della nostra società, così come le persone che per qualche motivo non ragionano in modo lineare e possano essere definite “neuro atipiche” o “neuro divergenti”. Sono persone che esistono, perciò per quale motivo non dovrebbero essere protagoniste di un romanzo?
Abbiamo parlato di found family e cultura punk, che sono anch’esse una parte importante della nostra società: l’emarginazione è un problema grave e tuttora importante, con una grande risonanza. A me piacerebbe che chi legge il mio libro possa ragionare su questo, tenendo conto delle categorie che per un motivo o per un altro sono poste ai margini, o viste come tali. È una tematica che tornerà sempre nei miei prossimi romanzi.
E in ultimo, ma non per importanza, c’è la questione della salute mentale di cui si parla in molti modi e che viene spesso sottolineata. Credo molto nell’importanza di dare ascolto a questa parte di noi stessi, e sono convinta che una buona salute mentale aiuti a procedere nella vita e a destreggiarsi meglio.
Io, facendo terapia, ho scoperto moltissime cose su di me che mi sono servite a poter risolvere quei problemi che un tempo credevo insormontabili. Non è sempre facile e spesso è anche molto dura prendersi cura di sé stessi, ma farlo è fondamentale.
• Quanto credi sia importante l’apporto letterario e artistico per sostenere e affrontare tematiche sociali?
Io credo che chi scrive romanzi abbia una grossa possibilità: quella di far sentire, in qualche modo, la propria voce. E poter esporre il proprio pensiero a un pubblico più o meno vasto ha un’enorme importanza.
Il mio intento, che spero davvero di raggiungere, è quello di innestare un semino nella testa delle persone. Le idee sono semi e, se coltivate, sono destinate a germogliare. Il fatto che, magari, un libro possa insinuarsi nella mente di chi lo legge perché, dopo averlo chiuso, continua a pensarci, dà all’autore un enorme potere.
Ho sempre pensato che sia possibile cambiare le cose, anche solo partendo da noi stessi e dai piccoli gesti. Quantomeno, che sia importante provare. Dopotutto, si dice sempre che un lungo viaggio parte sempre con il primo passo, no?
Io sono disposta a lottare, l’ho sempre fatto e voglio provare in tutti i modi a portare avanti la mia lotta, con le mie possibilità. Chissà che poi il mio messaggio non faccia venire voglia a qualcun altro di fare lo stesso.
• Ambisci a qualche riconoscimento particolare per la tua professione di autore? Qual è la meta che speri di raggiungere, se c’è.
Diciamo che partire dalla pubblicazione con una casa editrice è già una cosa grossa, ed è un bel traguardo.
Inoltre, mentirei se dicessi che non mi piacerebbe poter guadagnare almeno una piccola parte del mio stipendio da quello che scrivo! O, magari, chissà… ricevere una proposta di contratto con un anticipo.
In realtà, mi piacerebbe molto, partendo da questo, poter avviare dei progetti nelle biblioteche, nelle librerie e nelle scuole, per poter far riscoprire la scrittura e la lettura. Vorrei avviare dei gruppi di lettura e poter insegnare la scrittura creativa soprattutto ai giovani e dar loro la possibilità di riscoprire la bellezza delle storie.
Il riconoscimento, dunque, partirebbe dalla fiducia che il prossimo possa sentirsi di riporre in me per poter avviare ed essere coinvolta in progetti di questo genere.
Poi, siccome sono convinta che la magia esista, vorrei esprimere il desiderio di arrivare a vendere almeno mille copie. Hai sentito, unicorno? Che vogliamo fare?
• Scrivere è un percorso innanzitutto emotivo, quali sono stati i momenti più intensi legati alla scrittura dei tuoi libri, e perché?
O cielo, che domandona! Diciamo che per il primo libro ho cercato di non soffrire troppo, anche perché fuori soffrivo già tantissimo per la situazione in famiglia. Quindi, mi sono dedicata solo momenti di svago e di gioia. Più di tutto ho cercato di svagarmi, che per me era la cosa più importante in quel momento. Quindi, a livello emotivo, mi ha fatto stare davvero bene e ci sono stante soprattutto delle scene che mi sono divertita da pazzi a scrivere, ovvero… quelle piene di particolari macabri e truci.
Sarà poi andando avanti, quando la sottotrama si approfondirà, che ci saranno dei momenti in cui ho dovuto per forza soffrire un po’ e che ho aspettato a scrivere perché non avrei voluto, ma se la storia chiama certi sviluppi, non si può fare altro che ascoltare!
Per incontrare queste parti della trama, sarà necessario aspettare i prossimi romanzi, comunque!
• Credi che la lettura oggi stia subendo una trasformazione? Se sì in che ambito.
Io sono convinta che la letteratura sia un essere vivo, e come tale cresce e si sviluppa, cambia e si contrae. Di sicuro si adatta ai tempi perché anche i lettori sono figli di questi. Il giallo è cambiato moltissimo rispetto a quando è nato tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Certo, questo non significa che ciò che era un tempo, oggi non vale più. Tanti lettori sono nostalgici e rimangono affezionati a quelli che erano lo stile e le idee del passato.
Oggi, però, purtroppo, siamo soggetti a molti più stimoli. Non vorrei sembrare retorica, ma la tecnologia può essere una nostra grande alleata come al contrario distruggerci totalmente, dipende sempre da come la usiamo.
Così, non solo è cambiato il modo di scrivere, ma anche quello di fruire della scrittura. E purtroppo la soglia dell’attenzione si è abbassata in maniera drastica, così come le tendenze sono cambiati moltissimo nel corso del tempo.
Come autori siamo tenuti ad assecondare tutto questo, ma credo che farlo troppo ci porti a omologarci e, sebbene potrebbe anche essere un vantaggio per il mercato, nella mia opinione può avere delle ripercussioni negative sul lungo termine.
Dobbiamo cercare di destreggiarci e di plasmare il nostro modo di scrivere cercando però di non snaturare mai le nostre idee e il nostro modo di essere. Perché se è vero che ci sono tanti cambiamenti in negativo, trovo che ce ne siano molti anche in positivo. Primo fra tutti la possibilità di arrivare in molti modi a molte persone.
• Nella tua professione di autore ritieni sia più determinante, per ottenere risultati, l’impegno e lo studio o semplicemente il talento e la passione?
Trovo che sia una questione piuttosto controversa in verità, perché nelle diverse fasi della mia vita che mi hanno portata a sviluppare finalmente la mia voce, tra periodi di sconforto e non, avevo pensato che il talento fosse la cosa fondamentale. Col tempo, però, mi sono resa conto che invece, come si dice “la forza è niente senza il controllo”. Il talento da solo non può fare molto se non si conoscono le basi per poter condurre al meglio il lavoro di scrittura. Non credo, dunque, di poter scegliere solo una tra queste due caratteristiche perché coesistono e si compenetrano, e non credo che una possa procedere senza l’altra.
Se c’è una cosa che mi piace fare, poi, è studiare. Prima di poter padroneggiare qualsiasi cosa devo smontarla per capire come è fatta dentro e finché non sono stata in grado di comprendere il suo funzionamento, la mia scrittura era solo un animale fatto di puro istinto, qualcosa a metà che non poteva maturare.
È come quando si decide di andare a fare un’escursione in alta montagna ma non si ha la giusta preparazione fisica né la consapevolezza di come arrivare in vetta o di quanto dosare le forze per non finire spompati prima della meta.
So che la mia è un’opinione personale, ma soprattutto non sento di poter essere così spavalda da poter essere certa di avere del talento, ma sono sicura che lo studio della materia mi ha dato molto e continuerò a studiare sempre perché voglio continuare a migliorare.
• Qual è la domanda che speravi ti ponessero e non ti hanno mai fatto sul libro?
Uhm… credo che ce ne siano un paio.
La prima è a proposito della neuro diversità della mia protagonista.
È vero: io non ho mai voluto dare un nome a questa sua caratteristica, ma non ho mai creduto ce ne fosse bisogno. Nel romanzo se ne parla sempre, il discorso può girarci attorno e ovviamente la sua costruzione si basa molto su questo.
Ho usato questo modo di caratterizzare la mia personaggia perché è raro trovarne di simili, soprattutto nei libri. E mi piacerebbe poter parlare di più di questo argomento.
Il motivo per cui l’ho fatto dipende tutto dal modo in cui Conan Doyle ha voluto Sherlock che, da quello che risulta dagli studi effettuati nel tempo (perciò non sono solo io a dirlo), si può inserire nello Spettro come Asperger.
Rosie non è figlia biologica del detective, ma mi è sembrato giusto renderli simili da questo punto di vista, per indurre il lettore che conosceva Holmes a sentirsi a casa, a percepire una certa familiarità.
Così come per me è stato importante rendere ostica la mia personaggia: non è facile volerle bene, anche se ci sono momenti in cui non se ne può fare a meno.
Mi piacerebbe, poi, poter approfondire anche la questione degli Irregolari di Baker Street, una delle mie cose preferite dei romanzi di Sherlock Holmes, e di tutte le citazioni che ho inserito nel mio primo romanzo. So che è una roba da nerd, ma io lo sono; dunque, sarebbe bello approfondire questa sfaccettatura della narrazione!
Con Un pezzo alla volta, Chiara Cassanelli ci ha regalato un esordio pieno di personalità, capace di farci sorridere, riflettere, e magari, guardarci intorno con occhi un po’ più attenti.
La sua Rosie Watson è più di un personaggio: è un ponte tra mondi diversi, una ribelle con una logica tutta sua, una detective dal cuore grande e dalla mente brillante.
Il nostro viaggio tra gli autori di Edizioni Other Souls continua. Perché, come dice Chiara, le storie sono semi: e noi siamo qui per vederli germogliare.