Dead to me, la commedia diretta da Liz Feldman, è giunta alla sua terza serie. Una storia nata come una commedia grottesca dall’humor nero, incentrata sull’amicizia tra due donne: Jen e Judy. L’agente immobiliare Jen Harding, interpetata da Christina Applegate, e l’assistente sanitaria Judy Hale, interpretata da Linda Cardellini.
Dead to me – Amiche per la morte, e anche oltre
Dead to me, nel corso delle tre serie, si è evoluta molto. L’improbabile amicizia nata tra Jen e Judy, avvenuta in un incontro di sostegno di gruppo per persone che hanno subito un lutto, diventa, nella terza serie, la questione cruciale.
Cosa, nella vita, è davvero improbabile? Sembra questa la domanda a cui Liz Feldman vuole dare una risposta, disseminando le tre serie di pillole di tutto ciò che la vita può riservare a chi non soltanto la osserva, ma la cavalca anche.
La storia si apre con un dramma. Jen Harding, donna intraprendente – e un po’ stronza – lavora a vive a Laguna Beach con suo marito Ted e i loro due figli. Una vita come tante che, all’improvviso, viene rivoluzionata dalla morte improvvisa di Ted. Questo evento dà il via a una serie di pittoresche intersecazioni di personaggi più o meno credibili. Bugie e complicità si miscelano con omicidi e bizzarri incidenti.
L’evoluzione di Dead to me – Amiche per la morte: dalle risate alla commozione
Si può ridere di tutto, anche della vita stessa. Anche della morte. È questa la lezione che sembra scaturire dalla visione delle tre serie di Dead to me – Amiche per la morte. A ciò si aggiungono riflessioni complesse che le due protagoniste sembrano quasi sussurrare.
Le risate della prima serie diminuiscono, lasciando spazio a qualcosa di più profondo. Paradossalmente, si ride più quando si parla di morte che quando si affrontano questioni legate al mondo dei vivi. Perché se la morte è la fine di tutto, e con essa tutto si annulla, è la vita che riserva le prove più difficili.

Jen e Judy, una storia di amicizia e di perdono
In Dead to me i valori classici della vita vengono letteralmente stravolti. I rapporti affettivi e sentimentali sono labili e suscettibili di repentini cambiamenti. I confini tra bene e male sono offuscati: tutto appare relativo. Tra le righe si coglie l’esigenza di non comprimere sentimenti e sessualità a sfere impermeabili.
“Chi vi ha investito? Era uomo o donna?”, chiede l’agente di polizia a Judy, mentre si trova in ospedale dopo un incidente provocato da un pirata della strada. “Be’, il genere non sempre è così chiaro!”, risponde lei. Vittime e carnefici spesso combaciano, facendo intendere che niente può essere deciso a tavolino, nella complessità della vita.
Così anche il perdono assurge a valore fondamentale. I personaggi della serie riescono a perdonare qualsiasi cosa. È come se il primo perdono desse il via a una rivoluzione morale collettiva, a una fede smisurata nell’umanità. Jen perdona Judy per aver ucciso il marito – se state leggendo questa recensione, questo non sarà certo uno spoiler – ma si troverà poi a dover essere lei a chiedere assoluzione.
Il cerchio infinito della vita e della morte
Dall’inizio alla fine, Dead to Me è stato lo show che ho sempre desiderato realizzare. Si tratta di un regalo incredibile. Avere avuto la possibilità di raccontare una storia scaturita dal lutto e dalla perdita mi ha permesso di diventare più forte come artista e di guarire meglio come persona.
Queste le parole della produttrice e scrittrice americana Liz Feldman. Tanti i temi trattati in questa ultima serie, così come tanti sono i momenti di commozione. Una serie tv che fa ridere, riflettere, piangere. E se la storia inizia con un’amicizia improbabile, le vicende che si susseguono fanno chiedersi se davvero sia così improbabile. Poiché la vita stessa è la rappresentazione dell’incongruenza perenne. Niente è scontato, niente è dovuto.
