Dietro il mondo dell’illustrazione si trova una vastità di concetti, idee e ispirazioni. È un lavoro che si crea continuamente, “stratificazione dopo stratificazione”, come afferma Candia Castellani. Abbiamo chiesto a questa brillante illustratrice, la cui euforia per il proprio lavoro è palpabile, di parlarci della sua carriera, di come è nata, dei suoi progetti in corso e di tanto altro ancora.
Candia Castellani è un’illustratrice, insegnante e direttrice della Scuola di Illustrazione di Scandicci
Candia Castellani: hai la passione per il disegno da quando sei bambina. Quando hai capito che sarebbe potuta diventare un lavoro vero, “da grandi”?
Ah sì? Perché, è un lavoro da grandi? Scherzo… lo è eccome. Essendo cresciuta in questo ambiente per ragioni familiari, sapevo già che poteva essere un lavoro “da grandi”, ma fino a una certa età non avevo compreso che potesse esserlo anche per me. Molte persone lo avevano capito prima ancora che lo facessi io. E questa mia consapevolezza è avvenuta in vari step. Il primo è stato quando aspettavo il mio primo figlio nel 2006 e andai a fare un corso alla Scuola Internazionale di Sarmede. Poco dopo, da un periodo passato con Octavia Monaco, nacque il mio primo libro.
Più recentemente, ho preso piena coscienza delle mie capacità, conoscenze, esperienze e del fatto che avevo una mia personalità autentica in quello che facevo. Quando sono arrivate i riconoscimenti anche dal mondo dell’editoria, ho pensato: “allora dai, non ho sbagliato strada”. È stata una scommessa vinta, nonostante le frustrazioni, ne è valsa la pena”. Ci vuole però tanta passione, pazienza, studio e umiltà. Comprendere che non basta saper disegnare per fare l’illustratore, ma bisogna comunicare con le immagini qualcosa che non è scritto nel testo, senza essere didascalici. Aprire nuovi mondi e aprire le menti e possibilità, ma senza tradire il messaggio.
Il mestiere dell’illustratore non è semplice. Quindi è un mestiere “da grandi”, sì.

L’illustrazione, cinema e teatro
Ritieni che l’illustrazione non si possa scindere dall’influenza dei fumetti, del cinema e del teatro. Quali sono i personaggi di questi settori più curiosi ai quali ti sei ispirata? E quali, invece, quelli appartenenti alle arti visive, come la fotografia?
In realtà credo che non si possa scindere più dal cinema e dal teatro, ma specialmente dal cinema, che dal fumetto. Col fumetto, usa lo stesso supporto e strumento per esistere, che è il disegno e un racconto per immagini, ma il fumetto e l’illustrazione è come se li considerassi due fratelli con un solo genitore in comune: uno è sequenziale, l’altro racchiude in una sola immagine tutto il messaggio.
Le Arti visive, comunque, in qualche modo si influenzano per qualche ragione e spesso non si può parlare di una escludendone completamente un’altra, sia tecnicamente che come espressione del proprio tempo. Il nostro lavoro e il carattere di un autore non sono altro che il risultato di una stratificazione di emozioni, vissuto, esperienze, passioni, interessi, curiosità, osservazione di qualcosa che ci ha colpiti da quando siamo nati. E come nei sedimenti rocciosi, la stratificazione non è ancora finita, altrimenti finirebbe tutto. Noi stessi siamo sempre in evoluzione.

Ispirazioni cinematografiche nelle creazioni di Candia Castellani
Io sono stata sempre appassionata di racconti orali, di cinema (che ho studiato) e periodi storici della storia del cinema o specifici film hanno influenzato moltissimo il mio immaginario, il mio mondo, certi ritmi, inquadrature, dialoghi, fotografia: Da Melies, a Charlie Chaplin, il cinema muto, La Nouvelle Vague francese, il Neorealismo italiano, Moretti, Salvatores, Fellini, Leone, Pasolini, Ettore Scola, Troisi, Woody Allen degli anni ‘70/’80, Cimino, Nora Ephron, Jean-Pierre Jeunet, Michel Gondry, Kim Ki-duk e moltissimi altri che, appena mi verrà in mente che non li ho citati, mi mangerò le mani.
Fotografia, disegno, arte, musica: altri spunti e contaminazioni
Nella fotografia, sicuramente Robert Doisneau, Henri Cartier-Bresson, Steve McCurry, Vivian Mayer, ma anche le fotografie d’epoca in bianco e nero e le foto di famiglia di conoscenti, ma anche quelle trovate ai mercatini.
Nel mondo dell’arte e del disegno, invece, i miei riferimenti sono molto più precisi e lunghi. Non voglio fare l’elenco della lavandaia, ma ci vorrebbe un lunghissimo spazio per argomentare. Le mie personalità artistiche di riferimento sono e sono state: l’Arte etnica primitiva, i greci e gli etruschi, le plasticità di Michelangelo, i colori e le luci di Caravaggio, le linee di Klimt e Schiele, l’Art Nouveau e i Secessionisti, la Bahaus, Magritte, Andy Warhol, Freud, Riccardo Mannelli, Toppi, Pericoli, Manara, Andrea Pazienza, Gianni De Conno, Octavia Monaco, Joanna Concejo e Claudia Palmarucci.
Per non parlare della musica e delle sue mille suggestioni sonore e testuali.

Ci racconti qualcosa sul tuo ultimo lavoro, pubblicato dalle Edizioni Bibliolibrò, Il mondo di Adele? Si tratta di un albo illustrato dedicato allo svezzamento e al percorso di autoindividuazione di ogni bambino. Come è nata l’idea e che significato ha un libro di questo genere per Candia Castellani?
Il Mondo di Adele nasce da un’esperienza personale di allattamento con mia figlia durato tre anni. Abbiamo passato moltissimo tempo insieme guardandoci in silenzio negli occhi o anche addormentate l’una nelle braccia dell’altra. L’allattamento non è un’esperienza semplice e idilliaca, anche se bellissima. Non sempre è possibile e le madri non devono sentirsi in colpa per questo, anche se dovesse succedere per scelta. È, appunto, anche una scelta personale e per questo va rispettata. Col mio primo figlio non mi è stato possibile per varie ragioni, prima da parte mia per i dolori delle ragadi e poi sua a causa di un forte reflusso.
Il rapporto tra madre e figlio analizzato da Candia Castellani
Ma quello che mi interessava raccontare in questo libro non era il punto di vista della madre o fare retorica sull’allattamento. Era piuttosto trattare del rapporto che si instaura tra il bambino e il seno materno in questo periodo più o meno lungo, dove la madre è quasi solo un’appendice di contorno di questo “Mondo”, tondo e morbido. Quante madri che allattano dicono scherzando “mi sembra di essere diventata una mucca!”. Perché il bambino o bambina che sia, in quel momento vede solo quello. Il rapporto principale è col seno, non solo con la madre. Esiste lui, stop.
Ho avuto modo di osservare molto mia figlia e vedevo come, nel crescere, questo rapporto, che lei aveva col mio seno, si evolveva: da luogo esclusivamente vitale di alimentazione, a luogo su cui dormire, da odore buono e luogo accogliente, a luogo di gioco su cui tuffarsi, pizzicare mentre poppava, accarezzare, battere con la mano ed emettere suoni, nascondersi, un luogo da cui affacciarsi e sorridermi, un luogo dove sentire il battito del cuore che l’ha accompagnata per nove mesi, un luogo di mancanza quando non c’era e che mi faceva perdere latte se ero lontana, un paracadute di salvataggio nei momenti di sconforto o di cura nei momenti di “bua”. Verso la fine sembrava quasi, come lo chiamavo io scherzando, “un aperitivo” o una copertina di Linus per riposarsi. Poi è arrivato il giorno in cui ho iniziato a staccarla e lei, anche se malvolentieri, l’ha accettato.
Era giusto così. Ha iniziato allora a viversi davvero gli altri “mondi” che le orbitavano intorno e che, fino ad allora, erano in qualche modo filtrati dalla mia presenza o assenza. Però ha capito che, quel “suo Mondo”, a cui era stata legata fino ad allora, non era solo il seno, non doveva avere remore a staccarsi, perché era comunque la sua mamma e quei momenti li avremmo avuti comunque, solo sotto altre forme. Quindi durante questo tragitto, un giorno, ho ripensato a tutti questi momenti e ho capito che era essenziale farci un libro, che potesse servire sia ai bambini che alle mamme; un luogo, il libro, in cui rifugiarsi insieme quando questo tempo sarebbe passato, per ricordarsi come era e risentire un po’ quel “Mondo” lì.
Come tutti gli artisti, prendi spunto da ciò che ti circonda. Che impatto ha avuto la pandemia sul tuo lavoro nei mesi passati? Ha inciso sulla tua capacità creativa o, al contrario, ti ha fatto riscoprire il valore della fantasia più pura e intima, quella presente in tutti i bambini?
Ho passato il lockdown a casa dei miei genitori in aperta campagna, con loro e i miei figli. Nonostante tutto è stato un bel periodo perché abbiamo fatto molte cose creative insieme, anche se la convivenza forzata in alcuni momenti ci ha fatto implodere. È stato proprio in questo periodo che ho terminato Il Mondo di Adele. Incredibilmente, il mio lavoro e il mio sperimentare sono aumentati, sono nati nuovi progetti e ho avuto nuove proposte. Ho lavorato molto, quindi, ma ho riscoperto quel calore di casa, dell’avere il tempo da inventare, come quando ero bambina e, paradossalmente, in questo caso, sia come madre, ma anche nuovamente come figlia, in cui mia madre era la nonna e la madre allo stesso tempo. Legami di Mondi atemporali.

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