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    Libri

    La sublime solitudine di Drusilla

    Redazione Other SoulsDi Redazione Other Souls1 Luglio 20212 commenti5 Minuti di lettura
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    Drusilla Foer, donna raffinata ed eclettica, dall’animo anticonformista per natura, è nata a Siena e cresciuta a Cuba. Ha vissuto in varie città, tra cui Parigi, Chicago, Bruxelles, Madrid e New York. Da giovane è stata una ribelle; ora, che ha un’età che si aggira indicativamente tra i quaranta e i settant’anni, è una donna libera e sicura di sé. Armata di una gestualità prorompente e di battute acuminate come frecce, ha saputo farsi amare da un pubblico sempre più corposo. Grazie a una personalità intraprendente e a un’acuta sensibilità, si è fatta testimonial di importanti campagne sociali contro stereotipi e pregiudizi.

    Drusilla è una donna unica: elegante come Daisy Buchanan, sagace come Jane Marple, appassionata come Anna Karenina e intraprendente come Mame Dennis. Proprio perché potrebbe essere il personaggio di un romanzo indimenticabile, le abbiamo chiesto di parlare con noi del suo rapporto con la letteratura.

    Signora Foer, quanto i libri sono stati importanti per la sua formazione? Può dire di avere ricevuto una sorta di educazione letteraria?

    La lettura è per prima cosa un luogo di apertura alle visioni e ai sentimenti. Posso dire che attraverso la letteratura ho alimentato la mia consuetudine all’immaginazione e l’urgenza di provare emozioni. Leggere mi ha suggerito una certa voracità di esperienze, soprattutto affettive. Un’educazione sentimentale, più che letteraria. Puoi leggere migliaia di libri, ma, se non sei disposta ad entrare in contatto con i sentimenti che la lettura scatena in te, la lettura diventa sterile. È la percezione di sé attraverso la letteratura che fa della letteratura un luogo mistico. È una storia di empatia e partecipazione.

    Drusilla Foer
    Photo credits: Serena Gallorini

    Ci sono dei romanzi che hanno rappresentato dei capisaldi nella sua vita e a cui si sente tuttora legata in maniera indissolubile?

    L’ultima volta che ho sentito violentemente l’appartenenza ad un libro fu quando, ospite di un’amica a Los Angeles, trovai sul comodino “I racconti di San Francisco” di Armistead Maupin. Ricordo che mi ci tuffai come ci si tuffa nel mare quando si ha voglia di mare. Percepii un senso di alleanza in un periodo in cui ero molto tormentata e conflittuale. Quel libro fu mio amico per molto.

    Come è cambiato per lei il rapporto con la letteratura nel corso degli anni?

    Da adolescente il tormento giovanile trova spesso un’alleato nella lettura. Pur subendola, mi faceva sentire viva e speciale. Adesso il rapporto è più paritario. Leggo quando ne ho voglia e non sempre ne ho voglia. In questo periodo, ad esempio, ho più bisogno di riposo che sollecitazioni letterarie. Sento maggiormente una tensione ai rapporti umani, agli incontri, ho una reale necessità di scambio, e la letteratura è un viaggio che si fa da soli.

    Cosa e quanto c’è di letterario in Drusilla Foer?

    Se è vero che la letteratura è uno strumento di educazione sentimentale, certe mie convinzioni emotive ed affettive hanno la loro genesi in ciò che la letteratura mi ha mostrato di me stessa.

    letteratura

    Lei, che è da sempre una grande ispiratrice, ha mai, a sua volta, tratto ispirazione da alcuni personaggi della letteratura da cui si è sentita particolarmente colpita?

    Ve ne sono certamente ma, fortunatamente, non sono localizzabili nei personaggi che abitano i libri che ho letto. Forse il ricordo inconsapevole di tutte le personalità, le azioni, i luoghi, gli amori, i conflitti con cui sono venuta in contatto leggendo, si sono stratificati in modo silente in fondo al mio animo dando vita alla mia necessità di narrare.

    Di quale libro non avrebbe mai voluto essere la protagonista?

    “Naja tripudians”, un romanzo di Annie Vivanti, che ho scoperto da poco. Leslie, una delle protagoniste, è un personaggio talmente attorcigliato da farmi male. Mi ha disturbato. E’ una storia di empatia, la letteratura.

    Drusilla Foer
    Photo credits: Officine Fotografiche

    Umberto Eco ha scritto che chi non legge, a 70 anni, avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro. Drusilla che cosa ne pensa di questa visione?

    La trovo un’affermazione vanitosa e lievemente classista. La letteratura non per tutti è indispensabile per provare emozioni. L’unica vita che si vive è la nostra e il valore di ogni vita alberga nella capacità di stare in contatto con le esperienze e con i sentimenti, con o senza letteratura. Ci sono sensibilità capaci di elaborare pensieri, convinzioni, visioni talmente colme di purezza che non hanno bisogno della letteratura. Anzi, io credo che un approccio epidermico con “l’aver tanto letto” produca molto spesso autoreferenzialità e presunzione. Intellettualoidi e non intellettuali. La lettura è un’arma a doppio taglio.

    Tutto ciò che è arte contiene un’anima e, se non si coglie l’anima, si stratifica in noi un’appropriazione insana dell’arte stessa. La letteratura ha scatenato in me una forte voracità di esperienze e un possibilismo affettivo tutt’ora persistente. E una feroce curiosità al linguaggio. Devo molto alla letteratura.

    Che differenza c’è, secondo lei, tra la parola detta e la parola letta?

    Quella detta è fatta per essere ascoltata e questo presuppone uno scambio ad armi pari. Questo la lettura non lo permette. Lei ti tira dentro, tu entri dentro come sai e ne esci come puoi, ma una volta chiuso un libro, il conflitto, il turbamento, la gioia che esso può generare rimane un fatto intimo. Certo, ne può essere condivisa l’emozione, ma dopo. Ma prima il libro lo si legge da soli.

    E’ una solitudine sublime e potente, la letteratura.

    Clara Zennaro

    Se ti è piaciuto questo articolo su Drusilla Foer, leggi Quello che non sai: intervista a Susy Galluzzo.

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