Smart working, lavoro agile, telelavoro. Insomma, quello che ti permette di lavorare alle sei del mattino, in treno, approfittando di un viaggio lungo ore e ore. O quello che consente a tanti genitori di non dover scegliere per forza tra carriera e famiglia. Meglio ancora, lo smart working è quella ‘scappatoia’ che ti fa di guadagnare, banalmente, circa due ore della tua vita – andata e ritorno.
È ironico che, mentre in Italia cambiano le regole sul lavoro agile, nel mondo si festeggi il Walk to Work Day? Dai, forse un po’.
Walk to Work Day e Smart Working
Lo ammetto, un po’ questa storia del Walk to Work Day l’ho presa come pretesto per una riflessione. Insomma, andare a piedi a lavoro quando si può fare è una cosa sana. Fa bene all’ambiente, fa bene all’umore, ci tiene in forma – quale è ancora tutta da decidere. In alcuni casi, persino, muoversi a piedi seppur per lunghi tragitti risparmia lunghe attese in auto, nel traffico, con il piede atrofizzato sulla frizione.
Ecco, pensa che nell’epoca dello smart working un Walk to Work Day potrebbe non essere necessario. O almeno, non così necessario.
La stessa pretesa ambientale che ci si aspetta dall’andare a lavoro a piedi, la si potrebbe avere restando a casa. Ne abbiamo avuto prova in lockdown: meno gente per la strada migliora l’aria che respiriamo.
Inoltre, lavorare da casa non ha abbassato il rendimento delle aziende. Si può dire, anzi, che abbia permesso un miglior controllo dei flussi di lavoro, più ordinato. Oltre al risparmio in termini di energia e rifiuti da parte degli stessi uffici.
Quando lo smart working semplificato non è più un diritto
Di recente, giusto perché il costo della vita non è abbastanza caro, le regole sullo smart working semplificato sono cambiate. Questo piccolo dono pandemico adesso non è più un diritto ma rientra nei patti che il lavoratore, già di per sé incerto e precario, stressato, deve concordare con l’azienda.
Ciò significa che, sebbene ci siano alcune categorie protette che possono richiedere – chiedere, non pretendere – lo smart, ciò è valido soltanto se l’azienda prevede l’opzione del lavoro agile nelle sue modalità d’azione.
Per semplificare: se l’azienda per cui lavori non contempla lo smart working, il primo venerdì di aprile festeggerai il Walk to Work Day.
Siamo nell’epoca del paradosso?
All’Italia, si sa, piace giocare al passo del gambero. Tuttavia, ci sono alcuni dati che esistono e che dichiarano la volontà dei lavoratori di restare a casa o, quantomeno, di trovare un compromesso, un equilibrio tra i giorni in presenza e quelli di smart. Per dire qualche numero – sia mai che ce li giochiamo, e allora questo discorso vola dalla finestra – al momento si stima che nel 2024 saranno 3.65 milioni, i lavoratori smart italiani. E non lo dico io, che alla matematica ho preferito le lettere, ma lo dice “Il Sole 24 Ore”. Lo stesso giornale riporta anche che, rispetto al periodo pre-pandemia, il numero dei lavoratori in smart working è aumentato del 541%.
Un paradosso, regredire mettendo mano alle regole sul lavoro da remoto. Se pensiamo poi che in molti Paesi d’Europa si sta valutando la settimana lavorativa di quattro giorni, tornare otto ore in ufficio è un’agonia controproducente.
Tuttavia, sono solo un’umile oliva. Di certo non so nulla di come si gestisce un’azienda, sebbene sia una dipendente ecosostenibile ed ecosostenuta che, in effetti, dallo smart working trae ogni beneficio del caso, fisico e mentale.
E a piedi non ci vado, a lavoro, ma scelgo di passeggiare conscia che quel tempo può essere anche un Walk to Nowhere, del tutto mio.