Questo lungo racconto dell’ex-presidente Obama, in Italia per Garzanti, è il primo di due volumi: il memoir di un singolo individuo si intreccia indissolubilmente con quello di un intero Paese (non a caso il titolo Una terra promessa) e si conclude con un evento preciso che getta una luce intensa su tutto il resto.
Una terra promessa, un percorso di vita denso e veloce
Già dai primi capitoli, il libro è attraversato da una estrema densità di avvenimenti, che mettono in luce la mole di attività, studi e svolte personali (la doppia laurea, l’attivismo sociale e politico, il matrimonio e la nascita delle figlie) compiute in un numero tutto sommato ristretto di anni. Si vuole cioè comunicare l’idea di una persona decisa ed efficiente: tra l’altro, Obama è stato non solo il primo presidente degli USA di etnia afroamericana, ma anche uno dei più giovani. La sua scelta di candidarsi, all’inizio, era apparsa quantomeno azzardata.
«Perché proprio tu, Barack? Perché senti la necessità di diventare presidente?»
[…] «Non abbiamo garanzie sulla riuscita dell’impresa. Di una cosa sono sicuro, però. Il giorno in cui dovessi alzare la mano destra per giurare come presidente degli Stati Uniti, il mondo vedrà l’America con occhi diversi. E so che anche molti ragazzini di questo Paese – ragazzini neri, ragazzini ispanici, ragazzini che si sentono esclusi – si vedranno con occhi diversi, sapranno di avere nuovi orizzonti, nuove possibilità. E anche solo per questo… ne sarà valsa la pena.»
[…] Michelle rimase a fissarmi per quella che parve un’eternità. «Be’, tesoro», disse alla fine. «Questa sì che è una risposta come si deve.»
Barack Obama, Una terra promessa, p. 100-101
Gli eventi, ma soprattutto la riflessione su di essi
I fatti narrati in Una terra promessa, per quanto numerosi, probabilmente avrebbero potuto essere condensati in un numero di pagine minore delle 800 qui raggiunte. Più che il dipanarsi degli eventi, colpisce infatti l’abbondanza di dettagli sulle riflessioni, le strategie, i dubbi e insomma tutto il complesso dei pensieri e delle sensazioni con cui Obama doveva confrontarsi a ogni passo della sua carriera. Questa autobiografia è pregevole appunto per la minuzia con cui spiega ogni azione, ogni discorso, ogni provvedimento legislativo. Getta luce, tra l’altro, su tanti meccanismi poco conosciuti dei processi elettorali e legislativi degli USA.
Un memoir fra l’inquietudine del prima e il senno del poi
Tuttavia, pur ammettendo anche momenti difficili e battute d’arresto, il libro tende a un eccessivo senso di compiacimento. L’insistenza sui successi e soprattutto sulla caratura morale dell’autore rasentano l’autoelogio, appena stemperato da una discreta dose di ironia e di buon senso, oltre che da un registro amichevole. Le inquietudini del giovane Obama diventano, con il senno dell’Obama maturo, quasi le prove che ogni cavaliere deve superare per ottenere il suo Graal. Chiudere Una terra promessa con l’operazione Neptune’s Spear (quella che portò all’uccisione di Osama bin Laden) sembra proprio il premio a lungo inseguito e meritato. Ma la Casa Bianca non è Camelot.
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