Tutti sanno che Marcel Proust è uno dei più importanti scrittori del Novecento e che la Recherche è uno dei romanzi che più ha rivoluzionato la letteratura moderna. Si assiste spesso a un fenomeno curioso: Proust è considerato un grande della letteratura francese, o lo scrittore più ricercato della storia, anche da chi non l’ha mai letto, né ha intenzione di leggerlo, forse per evitare la fatica di affrontare le 3724 pagine della Ricerca del tempo perduto.
Ci sono molti strumenti per parlare di un libro senza averlo mai letto. Il più diffuso è raccogliere notizie biografiche e i giudizi della critica. Nel caso di Proust la cosa è molto facile, ovunque si può leggere che egli fu figlio di una famiglia dell’alta borghesia parigina, malato di asma e ozioso, dedito a languidi piaceri estetizzanti, che per reagire alla sua infelicità ha rievocato il proprio passato in un’opera dall’architettura complessa, diventando così un grande della letteratura francese. Secondo Proust il tempo perduto è anche il tempo che si perde, anche scrivendo il romanzo della propria vita, ed è nota la stroncatura che ne diede Andre Gide, ai tempi lettore per Gallimard.
Perchè Proust divenne un grande della letteratura francese?
«Sarò particolarmente tonto, ma non riesco a capire come questo signore possa impiegare trenta pagine a descrivere come si gira e si rigira nel letto prima di prendere sonno.»
Fu proprio, invece, l’attenzione al problema della memoria dei dettagli e delle emozioni e il sottolineare l’importanza della memoria involontaria, a renderlo un grande della letteratura francese e lo scrittore più ricercato della storia. Critici e lettori si sono sempre sforzati di trovare quanto di vero ci fosse nella Recherche, anche se lo stesso Proust in Contro Sainte-Beuve polemizzò aspramente con i tentativi di spiegare l’opera di un autore attraverso la sua biografia.
Un libro è il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi (Contro Saint-Beuve, Mimesis 2013)
Proust divenne un grande della letteratura francese in virtù della straordinaria complessità della sua opera maggiore, che disorienta il lettore abituato all’immagine tradizionale del romanzo, e oltre a quella di Gide, collezionò violente stroncature.
«Dopo settecentododici pagine di questo manoscritto – dopo infinite desolazioni per gli sviluppi insondabili in cui ci si deve sprofondare ed esasperanti momenti d’impazienza per l’impossibilità di risalire alla superficie – non si ha nessuna idea di quello di cui si tratta. Che scopo ha tutto questo? Che cosa significa? Dove ci vuole condurre? – Impossibile saperne e dirne nulla.» (Il parere di lettura dell’editore Fasquelle, a cui Proust aveva mandato la prima parte del romanzo).
Nella Recherche di Proust
Nella Recherche non c’è una trama ma una mappa intricata di soggetti che si accavallano e sovrappongono, non c’è un unico espedente narrativo da cui si sviluppa il romanzo, il narratore in prima persona non ha un nome (viene chiamato Marcel due volte solo nel quinto volume) ma riporta con precisione i più intimi stati di coscienza come forse nessun altro nella storia della letteratura. Quello di Proust, che lo ha reso un grande della letteratura francese, fu un viaggio filosofico-esistenziale alla ricerca della verità dell’ io profondo, dell’inconscio.
“Basta che un rumore, un odore, già uditi o respirati un tempo, lo siano di nuovo. Nel passato e insieme nel presente, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti. Perché subito l’essenza permanente, e solitamente nascosta, delle cose sia liberata, e il nostro vero io che, talvolta da molto tempo, sembrava morto, anche se non lo era ancora del tutto, si svegli, si animi ricevendo il celeste nutrimento che gli è così recato. Un istante affrancato dall’ordine del tempo ha ricreato in noi, perché lo si avverta, l’uomo affrancato dall’ordine del tempo.” (Alla ricerca del tempo perduto, Einaudi)
Proust scava nel passato della sua vita per coglierne i significati occultati dall’abitudine e dalle convenzioni del linguaggio che ottunde e nasconde. La sua ricerca della verità lo portò a privilegiare l’indagine della carica di messaggi, emozioni, risonanze non identificabili razionalmente dell’esperienza interiore.
“I legami fra una persona e noi esistono solamente nel pensiero. La memoria, nell’affievolirsi, li allenta.E nonostante l’illusione di cui vorremmo essere le vittime, e con la quale, per amore, per amicizia, per cortesia, per rispetto umano, per dovere, inganniamo gli altri, noi viviamo soli. L’uomo è l’essere che non può uscire da sé, che non conosce gli altri se non in se medesimo, e che, se dice il contrario, mente.” (Alla ricerca del tempo perduto, Einaudi).
Con una visione del mondo radicalmente pessimista
Proust fu un grande della letteratura francese con una visione del mondo radicalmente pessimista e se fu ricercato nella scrittura ciò dipende dal suo sforzo di far emergere una verità inesprimibile se non con la letteratura. Il tempo, la materia di cui siamo fatti, è definitivamente perduto, rimangono le intermittenze nostra memoria involontaria di sensazioni ed emozioni che solo l’arte può salvare.
Troviamo di tutto nella nostra memoria: è una specie di farmacia, di laboratorio chimico, dove si mettono le mani a caso, ora su una droga calmante, ora su un veleno pericoloso. (Alla ricerca del tempo perduto, Einaudi)
La storia della letteratura riporta l’incontro fra Proust e Joyce a Parigi, una sera del 1922. I due più importanti scrittori del Novecento passarono la serata quasi senza parlarsi, malgrado i tentativi di Proust di fare conversazione. Alla fine divisero un taxi, Joyce continuò imperterrito a tacere e fumare facendo quasi venire un attacco di asma a Proust. Né Proust né Joyce ricordano l’aneddoto nei loro scritti.
Articolo a cura di Lucio Morawetz