Giorgio Terruzzi è una delle firme – e delle voci – giornalistiche più popolari e stimate in Italia. Una penna cantastorie che ha realizzato, nel corso degli anni, una narrazione romanzata dello sport motoristico per eccellenza, la Formula 1, con opere come Suite 200. L’ultima notte di Ayrton Senna e Fondocorsa, “dedicato” alla vita del grande Alberto Ascari. A questo si aggiunge una capacità di analisi giornalistica appassionata e di notevole originalità che ci accompagna ormai da decenni, anche attraverso le celebri pagelline.
Other Souls ama intervistare quelle personalità che lasciano un segno nella letteratura. Con Giorgio Terruzzi si è parlato di ben due libri pubblicati quest’anno, di cui uno per Einaudi frutto di una collaborazione con Diego Abatantuono.
Quando nasce il Giorgio Terruzzi narratore? Viene fuori insieme al giornalista, allo sportivo, prima, dopo…?
Raccontare storie è sempre stato un desiderio ed è sempre stata una attitudine. Il fatto di poter campare con la scrittura e il giornalismo è una circostanza che me lo ha permesso. Scrivere un libro lo considero una sorta di privilegio e quando c’è una buona idea e quindi un progetto cerco di portarlo in fondo in una parentesi adatta.
La differenza tra scrivere un articolo e un libro è la stessa che passa da un allenamento per i 100 metri e uno per la maratona. Muscolature diverse. In ogni caso, lo sport ti allena a esplorare anche altri campi: l’umanità che emerge osservando lo sport.
Nel 2022 sono stati pubblicati due tuoi libri. Uno è Fondocorsa (Rizzoli) – una riedizione del bellissimo romanzo del 2002 – e l’altro è Si potrebbe andare tutti al mio funerale (Einaudi) con Diego Abatantuono. Partiamo da Fondocorsa: perché questa nuova edizione?
È stata una proposta di Rizzoli, casa per la quale lavoro da anni. I vecchi diritti erano scaduti e abbiamo deciso di riproporre Fondocorsa. È una grande storia umana e motoristica. Magari a qualche giovane appassionato può raccontare un mondo perduto. Quello dei primi Gran Premi, anni Cinquanta, quello delle ultime Mille Miglia. Girando attorno al destino romantico di Alberto Ascari.
Mille Miglia 1954. L’oro nero di Alberto Ascari è la storia del grande campione lombardo e degli anni in cui la Mille Miglia rombava per la Penisola.
Si potrebbe andare tutti al mio funerale è un po’ romanzo, un po’ biografia, un po’… un sogno, e «un’occasione unica per celebrare l’amore e i legami di una vita. Ricordi, visioni e confessioni di un attore», per citare proprio Einaudi. Da dove nasce l’idea della veglia funebre del protagonista?
Da un sogno fatto da Diego Abatantuono…
Si potrebbe andare tutti al mio funerale (Einaudi) è la scelta originale di raccontare Diego Abatantuono durante la sua… veglia funebre.
Esiste un’idea ancora in sospeso, un progetto per un libro che hai in mente da molto tempo e che ancora devi scrivere?
Sì ma non è pronta. Riguarda il terzo tempo dell’esistenza. L’accettazione, se possibile serena, che tutto finisca.
Quando si vuole raccontare lo sport, le storie che ci sono dietro lo sport, storie umane anzitutto, su cosa bisogna puntare secondo te? Qual è la chiave per raccontare lo sport da un punto di vista narrativo, per così dire “letterario”?
Credo che la chiave stia nell’introspezione. Dunque anche nella lettura. Una grande storia contiene sempre qualcosa che ci riguarda. Mi pare che l’individuazione di ciò che passa attraverso l’anima ma anche la fatica, la sofferenza o la gioia, vale a dire gli ingredienti che tengono in piedi lo sport, sia utile per provare a tenere l’oro al centro. Ma non esiste una ricetta, una regola, quindi mi guardo bene da indicare ciò che va fatto o meno.
Ciascuno può procedere come crede. Ma anche per scrivere serve avere a che fare con i sentimenti profondi, l’emozione, l’ispirazione. Non arrivano da soli. Mi pare che uscire dal confort, dalle abitudini, cercare e curiosare dove non conosciamo possa venir buono per capire e capirsi un po’ meglio. Tutto qui.
Claudio Santoro