The Patient, su Disney Plus, si presenta in punta di piedi: 10 episodi di circa 20 minuti ciascuno, un’immagine che suggerisce l’ingresso nei meandri della mente umana e lui, Steve Carell, che tutti conoscono e amano per i suoi ruoli comici. Leggero, no?
Nessun pensiero può essere mai tanto sbagliato.
The Patient, un complesso gioco di equilibri
Protagonisti sono loro, lo psicologo Alan Strauss, ebreo, vedovo, discretamente conosciuto, interpretato da Carell; e Sam, impersonato da Domhnall Gleeson, uno dei suoi pazienti, che non può confessare nello studio del dottore tutto quello che invece ha bisogno di dire.
È facile per Sam passare per vie piuttosto estreme: rapire il dottore, incatenarlo nel seminterrato e costringerlo ad ascoltare ogni segreto inconfessabile. Sì, inconfessabile, perché Sam è un serial killer che, nell’estremo tentativo di guarire dal suo male, decide di diventare l’unico paziente del dottor Strauss.
E qui, per Alan, è il momento del bivio che caratterizza ogni puntata: cercare in qualche modo di sopraffare il suo aguzzino, o provare a curarlo?
Sul filo di questa indecisione, si instaura comunque un rapporto vero tra il medico e il suo paziente. Le fragilità di Sam vengono a galla e lui si mostra davvero come una persona che ha bisogno d’aiuto. Anche il dottore si apre, in un tentativo di manovra a tenaglia diretto all’animo del suo assistito. Ciò che rivela, però, è autentico, e riesce a commuovere anche in un clima di tensione costante o, forse, soprattutto per quello.
L’importanza delle radici
Importante, per lo sviluppo della trama, è il peso che Alan dà alle proprie origini in rapporto all’istinto di uccidere che ha Sam. La storia ebraica e l’immagine costante della cattività nei campi di concentramento fanno riflettere il dottore sulla situazione a cui è costretto, condizionandone sogni e pensieri.
Le radici però si intrecciano anche alle dinamiche che entrambi i protagonisti, in The Patient, hanno con il ruolo che ognuno ricopre all’interno della propria famiglia.
Il bilanciamento è perfetto: Alan è un padre in crisi con il figlio, Sam un figlio in contrasto con il padre. Entrambi hanno da rivedere i loro rapporti individuali, ma soltanto uno di loro avrà la possibilità di risolverli.
Alan
Vive come un ostacolo insormontabile la scelta del figlio Ezra di abbracciare la visione più ortodossa della fede. C’è una spaccatura profonda, tra loro, che si traduce in modi diametralmente opposti di vivere la vita stessa, l’educazione e sì, anche l’amore per la famiglia stessa.
Questo solco non può fare a meno di allargarsi con l’immenso dolore provato da entrambi per la perdita di Beth, moglie e madre, portata via dal cancro. Si dice che la fede unisca, in questi momenti delicati, ma in questa occasione così non è.
Il peso della recriminazione è immenso e Alan troverà nel raccoglimento obbligato dovuto al proprio sequestro, un’occasione per rivalutare del tutto persone e rapporti.
Sam
Lui trova nella figura paterna il suo peggior nemico. Gli abusi subiti da bambino lo hanno portato dov’è adesso, e forse è proprio questo puntare il dito senza remore, la chiave di una possibile guarigione.
Sam deve smettere di usare la sua infanzia come pretesto per non provare empatia verso il prossimo e assumere le proprie responsabilità di adulto, rivendicando il senso profondo delle azioni compiute.
Dove penderà l’ago della bilancia?
Il finale è una scena al di là dell’immaginazione dello spettatore. Una chiusa cruda e perfetta che rompe finalmente la tensione dei dieci piccoli appuntamenti.
The patient insegna: la vita non è come la si vuole, o la si pianifica. Bisogna essere consapevoli della sofferenza che si è capaci di portare nel mondo. Bisogna sapere che ognuno, nella propria storia, è sia vittima che aguzzino.
Questi ruoli, Alan e Sam sembrano passarseli a vicenda, respingendo ognuno con la sua energia un calice fin troppo amaro. La domanda che riecheggia potente dopo la visione di The Patient è una, e una sola: la verità, liberatoria e assordante, è davvero capace di rendere libero un uomo?
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