Presentato alla festa del cinema di Roma lo scorso ottobre, l’ultimo film del regista Mark Mylod è disponibile sulla piattaforma streaming Disney+.
Un thriller che è allo stesso tempo celebrazione estetica del cibo e critica sociale di quel filone d’intrattenimento, oramai saturo, incentrato sulla cucina.
Antipasto: un’isola im-perfetta
Il giovane Tyler, interpretato da Nicholas Hoult, è finalmente riuscito a ottenere due posti nel lussuoso e prestigioso ristorante dello chef stellato Slowik che si trova su un’isola privata. Insieme a lui c’è la regina degli scacchi Anya Taylor-Joy che veste i panni di Margot, una giovane donna misteriosa ben poco interessata a ciò che l’aspetta.
L’isola dove sorge il ristorante appare come l’ambientazione più adatta per la trama del film ed è in grado di coinvolgere fin da subito lo spettatore in quel frullato di emozioni che esploderanno poi nel corso della visione. Se in un primo momento l’isola appare come paradisiaca, basta poco per ricredersi: aleggia un’aria di mistero e l’ironia forzata di alcune battute dei personaggi sembra innestare il dubbio che si possa nascondere qualcosa dietro l’apparenza.
Margot, in quanto completamente disinteressata, appare come l’unica tra le persone coinvolte a non essere affascinata da ciò che le viene mostrato e diviene la rappresentazione simbolica dei dubbi dello spettatore.
The Menu, la portata principale: ingredienti buoni, ma poca coesione
Gli undici invitati giungono nella sala dove si terrà la cena, un ambiente chiuso con vetrate e una cucina a vista. In questa luogo claustrofobico si svolgerà la quasi totalità delle scene, un rimando all’ottimo film di Roman Polański Carnage (2011) nel quale la perfetta recitazione degli attori è il supporto principale dell’opera in grado di mettere in secondo piano qualsiasi altro elemento cinematografico.
Decisamente diverso è il risultato ottenuto da The menu: i presupposti forse c’erano, ma tutti gli ingredienti si sono trasformati in caricaturali. A partire dai personaggi, stereotipi piatti, che si sviluppano solo nella loro prevedibilità.
Il film comunque raggiunge l’obiettivo di coinvolgere lo spettatore e incuriosirlo.
Lo chef Slowik, Ralph Fiennes, si presenta ai commensali e inizia a far entrare le portate del suo menu. L’obiettivo della sua cucina è l’esaltazione della materia prima, proveniente dall’isola, e far comprendere che il cibo non dev’essere meramente assimilato, ma bisogna conoscerlo e assaporarlo.
È lui a dirigere l’orchestra di questa rappresentazione e la sua sicurezza lo trasforma in un giudice pronto a emettere la sentenza contro l’arroganza di chi vede la cucina come semplice svago.
La presentazione del menu coinvolge sempre più gli invitati, la meraviglia e lo stupore lasciano ben presto lo spazio al dubbio prima e al timore poi. La cucina si fonde con l’arte e alcune scene sembrano happening artistici: la scena tra lo chef Slowik e la sua sous chef richiama alla mente Marina Abramović e il compagno Ulay che con le loro rappresentazioni artistiche hanno contribuito a definire il concetto di performance art.
L’ultima portata: un finale amaro
L’isola, gli invitati, i dubbi e la ricerca di indizi ricordano il libro Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, la cui struttura narrativa prosegue senza intoppi verso un finale che si pone come sostegno per l’intera trama.
Il lavoro di Mark Mylod raggiunge gli obiettivi fissati fino a metà film, dal climax in poi sembra completamente perdere i suoi presupposti.
Il menu servito è una raffinata critica alla contemporaneità e al suo intrattenimento, le riprese e le presentazioni dei piatti richiamano inevitabilmente alla mente i programmi di cucina, oramai divenuti una delle colonne portanti dell’intrattenimento.
Il cast, i rimandi simbolici e la splendida fotografia non sono sufficienti, il film si perde completamente dalla seconda portata in poi trasformandosi, in gergo culinario, in un mappazone.
La cucina fa da sfondo a molti prodotti audiovisivi presentati negli ultimi mesi, come Boiling point di Philip Barantini, la commedia francese Si, Chef! di Louis-Julien Petit e la serie tv The Bear.
In The menu coesistono due opere con due esiti completamente differenti
La prima parte vince e riesce negli intenti, la seconda parte trasforma e condanna l’opera a un risultato assimilabile a quei programmi e quella filosofia che a gran voce prova a criticare diventando mero intrattenimento.