Il fumetto originale di Sweet Tooth è stato realizzato dall’autore canadese Jeff Lemire ed è stato pubblicato fra il 2009 e il 2012 dalla DC Comics sotto la prestigiosa etichetta Vertigo, divenuta famosa negli anni Novanta per opere quali Preacher e Sandman.
Una nuova distopia e un nuovo virus misterioso
La miniserie, prodotta da Netflix, è ispirata molto liberamente alla serie a fumetti. In un mondo post-apocalittico, anzi in un mondo nel quale l’apocalisse è ancora in corso, due eventi sembrano collegati. Uno è la comparsa di un virus mortale, l’altro la nascita di bambini che presentano un misto di caratteristiche umane e animali. Gus, detto anche Sweet Tooth, è uno di questi bambini. Dopo aver vissuto fino ai dieci anni in una zona boschiva e isolata, alla morte del padre deve abbandonare la sua casa e affrontare il mondo esterno. Ad aiutarlo, un omone di nome Jepperd e un’adolescente scontrosa che si fa chiamare Bear. Il tutto mentre gli “ibridi” come Gus vengono perseguitati e usati come cavie dal laboratorio nel tentativo, da parte di medici e scienziati, di trovare una cura per il virus.
La storia di Sweet Tooth procede con un buon equilibrio, non troppo affrettata e non troppo lenta, e con dei punti di svolta accattivanti. Soprattutto, è evidente come per ciascun personaggio sia stato pianificato un arco di trasformazione in cui il virus, gli ibridi e la situazione post-apocalittica sono lo stimolo ad affrontare un’evoluzione interiore, oltre che esteriore. La collocazione nel filone post-apocalittico richiama altri titoli, da Survivors a The Walking Dead, da The 100 a Tribes of Europa. C’è però un tocco familiare e innocente in più, dato dalla presenza del giovanissimo Gus e degli altri ibridi.
Un lungo viaggio, dentro e fuori dai personaggi
Rispetto alla serie a fumetti, la miniserie tv compie anche una scelta estetica meno drastica. Il tratto di Jeff Lemire è spigoloso, gli ibridi del Sweet Tooth originale non sono dei cucciolotti morbidi e coccolosi. Al contrario effetti speciali e trucco prostetico sullo schermo sembrano studiati proprio per ottenere questo effetto. Lo spettatore prova un’immediata empatia nei confronti degli ibridi, così piccini e teneri, e polarizza la sua fruizione della storia, dividendo tutti i personaggi in buoni e cattivi anche quando ci sarebbero sfumature interessanti. Una semplificazione eccessiva in un mondo che, in fin dei conti, manifesta le stesse idiosincrasie e dinamiche del nostro: però noi abbiamo “solo” il Covid, loro una malattia ben più crudele.
La miniserie, che ha debuttato il 4 giugno, ha riscosso un buon successo. Netflix ha già annunciato una seconda stagione, presumibilmente composta da altri otto episodi, per tornare a seguire il viaggio di Gus e dei suoi amici.