Suzume è il secondo anime nella storia presentato al Festival del cinema di Berlino, a 20 dalla Città Incantata di Miyazaki. Il lavoro di Makoto Shinkai gioca sulla ferita ancora aperta, in Giappone, del tremendo terremoto del 2011, ma non è solo questo che rende il film degno di essere visto… e in parte anche criticato!
Suzume, la trama
Suzume ha 17 anni e vive con sua zia nel Kyushu, nella prefettura di Miyazaki sicuramente una coincidenza non voluta! Proprio come l’inserimento della canzone Rūju no dengon, la colonna sonora di Kiki, Consegne a domicilio.
In quella che inizia come una normalissima giornata di scuola, Suzume incontra un ragazzo di nome Sōta, ovviamente bellissimo, trasandato ma non troppo e con lunghi capelli neri. Insomma, un sogno. Sōta le chiede informazioni su delle rovine della zona e lei decide di saltare le lezioni per seguirlo.
Di lì l’adolescente viene catapultata in una realtà che rischia di sopraffare quella a cui è sempre stata abituata. Sōta è infatti discende da una famiglia di Chiudi Porta, ed è a una di queste porte magiche, confine tra mondo dei vivi e mondo dei morti, che porta Suzume.
L’obiettivo di Sōta è serrare queste porte da cui fuoriescono enormi vermi in grado di provocare terremoti.
Suzume nel film è sia l’eroina che la causa del conflitto: è lei, infatti, a rimuovere il sigillo di una delle porte. Il sigillo poi prende le sembianze di un gatto, trasforma Sōta in una sediolina e scappa.
I due partiranno per un viaggio on the road che tocca alcune cittadine in cui si sono verificate calamità naturali durante l’ultimo secolo, chiudendo porte e cercando di far tornare Sōta umano.
Le ambientazioni, grandi protagoniste di Suzume
La luce spettacolare che si riflette nelle pozze d’acqua, le stelle nei cieli notturni, gli angoli pittoreschi dell’isola. Tra le protagoniste silenti di Suzime ci sono le ambientazioni, intrise di realismo e messe in risalto dalla scelta tematica del viaggio. Gli sfondi, per cui viene a volte utilizzata la CGI, si amalgamano perfettamente tra loro rendendo ogni scena suggestiva e romantica (in senso artistico). Ogni fotogramma è davvero un quadro a sé.
Non ci si poteva comunque aspettare di meno prendendo in considerazione gli scorci di Tokyo di Your name o i paesaggi bagnati di Weathering With You. L’unica decisione grafica un po’ fallace è quella del 3D per il verme finale, che toglie immersività creando un distacco troppo violento. Potrebbero aver finito il budget?
Un popolo che trema
Makoto Shinkai presenta un Giappone a cui non si è poco abituati, piegato al volere della natura. Suzume durante il suo percorso si vede costretta a tornare nel luogo in cui ha perso la madre nel terremoto del 2011.
Quella del 2011 è una catastrofe che ancora sembra tormentare il popolo. Shinkai stesso ha confessato che dopo il disastro di Fukushima il suo approccio all’animazione è cambiato drasticamente.
La guarigione del Giappone va di pari passo con quella emotiva di Suzume, ogni rovina è una ferita e ogni porta chiusa è un cerotto. Un argomento dalla portata emotiva così pesante come l’elaborazione del lutto rende quest’ultimo il lavoro più maturo del regista.
Amore in 9,58 secondi
Se la caratterizzazione di Suzume è ben riuscita, il personaggio di cui non si sa davvero nulla è Sōta. Sì, frequenta l’università e sì, vuole fare l’insegnante, ma sembra che non gli sia concesso il diritto a una personalità. Questo influisce sui risvolti romantici della trama. L’aspettativa sulla storia d’amore è dettata dagli strascichi degli altri film del regista più che da avvenimenti interni a questo in particolare.
Gatti, divinità e natura
Come sempre Makoto Shinkai gioca con lo scintoismo aggiungendo alla storia dettagli onirici, in questo caso un ruolo importante lo hanno i gatti che rappresentano lo Yin e lo Yang. Daijin può essere tradotto sia come “ministro di governo” che come “Dio”. Le sue azioni riflettono la natura, è imprevedibile e fa un po’ come gli pare.
Daijin è un Dio e come tale ha bisogno di essere idolatrato, per questo cambia aspetto non appena Suzume confessa di odiarlo. Il suo bisogno di amore sarà ciò che lo spingerà a sacrificarsi e a ritornare sigillo.
Un finale debole
Il finale è debole, la trama si regge sul fatto che Daijin non può e non vuole fare il sigillo, quindi un epilogo del genere annulla in effetti la storia. Con questa premessa Daijin avrebbe potuto richiudere le porte fin da subito.