L’attore e comico spagnolo Dani Rovira porta in scena uno spettacolo che parla di uno dei peggiori sentimenti umani, l’odio, in maniera diretta e sincera
In scena dal teatro del Soho di Málaga, Dani Rovira imposta un monologo, Odio, volto a scuotere le (finte) buone coscienze: l’uomo è capace di odiare, dalla notte dei tempi, questo è il punto di partenza, da accettare inesorabilmente, per fare pace con se stessi. L’irrequietezza e la rabbia dovute allo stress, l’abitudine costante e malsana di paragonarsi a chi si ritiene – spesso soltanto perché così appare – migliore, possono portare a far germogliare l’odio. Instagram offre un esempio lampante di quanto la realtà possa essere dissimulata, resa magnifica e patinata e di quanto il mondo dei social si presti a giocare con insicurezze e voglia d’affermazione del popolo dei comuni mortali, popolo di cui Rovira si fa esponente, puntando sull’autoironia.
L’innata tendenza a covare sentimenti nefasti
Il comico spagnolo chiarisce subito che non si tratta di uno stato di cose nato con l’insorgere della pandemia in atto, poiché tutti abbiamo innata questa tendenza. La soluzione? Nel corso dello spettacolo Rovira offre diversi spunti tratti dalle vicende di tutti i giorni, gioca con se stesso e con il pubblico facendo leva su alcuni aspetti della modernità che portano a trascurare le cose essenziali. L’umorismo dell’attore spagnolo va compreso, presenta zone d’ombra non immediatamente recepibili; in alcuni istanti ci si può perdere, anche a causa dei sottotitoli che non riescono sempre a tenere il passo con la velocità con cui parla, come tutti gli spagnoli, Dani Rovira.
Il monologo inizia con una confessione un po’ particolare, che invita a vivere con maggior leggerezza: «Voglio avvisarvi, fin da subito, che qualcuno si potrà sentire offeso da alcune cose che dirò». Il primo “affondo” è rivolto proprio alla categoria dei “maggiormente sensibili”, e rivela come Dani Rovira non abbia peli sulla lingua.
Una lettura sociale e ironica dell’uomo sull’uomo
Il monologo scorre piacevolmente, concentrandosi su racconti di dinamiche ricorrenti, luoghi comuni, fissazioni e abitudini che mettono in risalto la natura imperfetta dell’uomo. È una lettura, non troppo originale, dell’uomo sull’uomo, un’autocritica che punta il dito sugli effetti nocivi che coltivare cattivi sentimenti comporta.
Una frase, sul finale, risulta azzeccata e aiuta a dare un senso all’intero spettacolo: «L’invidia è una specie di ammirazione mal gestita». L’invito è quello di competere con se stessi e di accettare il successo altrui, per vivere meglio con il proprio io e anche con tutti gli altri.