Una commedia romantica con Susana Abaitua e Álvaro Cervantes sullo sfondo di un mondo problematico e stigmatizzato
Uscito su Netflix il 26 febbraio, Pazzo per lei è un film che ripropone il più classico degli stereotipi – quello dell’amore che salva e risolleva dai drammi della vita – in maniera rivisitata e contestualizzata in un panorama sociale complesso e delicato: quello delle malattie mentali. Adri, brillante giornalista, incontra una sera una ragazza bizzarra: Carla. I due trascorrono la nottata insieme, vivendo avventure che sorvolano ogni logica e congruenza: si intrufolano a un matrimonio (e nessuno – specie gli sposi – nota che siano due sconosciuti), ballano, bevono, fanno sesso e poi si salutano, senza svelare nulla delle loro vite, ripromettendosi di non rivedersi mai più, per non rovinare “la più bella notte della loro vita”.
L’idea malsana secondo cui la follia è vitale
Adri, però, resta incantato dalla ragazza al punto che la cerca senza sosta, fino a scoprire che Carla è ricoverata in un centro psichiatrico. Nel mondo reale gli uomini, la maggior parte delle volte, scappano alle prime avvisaglie di problemi di una donna conosciuta da poco. Adri, invece, fa di tutto per farsi ricoverare nel centro, così da poter stare a fianco dell’amata. Anche qui le incongruenze si sprecano e sono funzionali all’andamento della favola moderna. Carla e Adri si rincontrano ma il giornalista capisce che il suo sogno romantico è destinato a restare tale quando Carla fatica a ricordare chi lui sia. “La più bella notte della vita” (di Carla) è stata anche con mille altri uomini, per cui di speciale esiste ben poco.
Incongruenze, stigmatizzazioni e ironia condensata
Pazzo per lei prosegue tra un’incongruenza e l’altra, stigmatizzando ciò che invece pare voler raccontare in maniera verosimile, tracciando la caricatura di un mondo che il regista – si capisce sul finale – ambisce invece a comprendere e al quale vuole dare dignità.
L’ironia è vestita di tristezza, la malattia di Carla è ben descritta in alcuni punti salienti, ma il resto della commedia fa acqua da tutte le parti. L’amore è un sentimento inspiegabile e riserva sorprese, ma qui si esagera. Sul finale il film pare acquistare un senso nel momento in cui la direttrice della clinica, interpretata da Clara Segura, affronta Adri. La dottoressa spiega chiaramente all’uomo che ciò che lui sa riguardo le malattie mentali è frutto di stereotipi e disinformazione.
L’amore come salvezza del prossimo
Ma l’intento principale del regista è quello di assecondare certi luoghi comuni fuorvianti e irrealistici, oltre che pericolosi: l’amore può e deve salvare il prossimo. Così la storia si chiude nel modo più banale possibile, con baci e promesse, contribuendo ad alimentare la leggenda metropolitana per cui tutti i problemi della vita – persino quelli di salute – sono attribuibili alla mancanza d’amore e, di conseguenza, risolvibili con l’arrivo dello stantio (quanto sovraccarico di responsabilità) principe azzurro.
Raccontare il mondo delle malattie mentali non è facile. Ci ha provato anche Paolo Virzì con La pazza gioia, commedia drammatica del 2016, risultando altrettanto scialbo e incongruente. A volte sarebbe meglio restare fuori da alcuni contesti, piuttosto che condirli con preconcetti e malsana ironia.