I dialoghi rappresentano uno dei pilastri della narrazione. Le loro funzioni non sono solo indicate dai più importanti manuali di scrittura, ma rappresentano un argomento di discussione quotidiano per addetti ai lavori, aspiranti scrittori e lettori. A questo punto, la domanda sorge spontanea: si può scrivere libri senza dialoghi? La risposta non è banale, né scontata.
A cosa serve il dialogo?
In primo luogo, il dialogo contribuisce alla definizione del ritmo narrativo, rendendolo più vario. Inoltre, dà voce ai personaggi e permette al lettore di coglierne il carattere e le inclinazioni, insieme al ruolo, alle funzioni e all’eventuale arco di trasformazione all’interno della storia. Infine, delinea il contesto e i conflitti che fanno avanzare la vicenda.
Le premesse fanno cogliere l’importanza di questo elemento, al punto che sembra impossibile pensare a un libro privo di dialoghi. Ma è davvero così?
Lewis Carroll lo disse, ma…
A che serve un libro senza dialoghi, né figure?
La citazione è tratta da Alice nel Paese delle meraviglie, questo è quanto dice Lewis Carroll negli anni Sessanta dell’Ottocento. Una cinquantina di anni dopo, però, viene teorizzato per la prima volta il flusso di coscienza, poi divenuto una tecnica che stravolge le regole della narrazione, complici le influenze psicanalitiche.
Il flusso di coscienza, meglio espresso nel monologo interiore, prevede la liberazione dei pensieri individuali così come provengono dalla mente, prima di essere riorganizzati in maniera logica. Marcel Proust e James Joyce sono tra i maestri della tecnica. L’eredità è ghiotta, considerando che il flusso di coscienza trasforma i dialoghi in qualcosa che si avvicina maggiormente alla forma del parlato, dandoci un’impressione di immediatezza.
Rompere le regole
Il flusso di coscienza può essere, quindi, la risposta al nostro dilemma, ma con una grossa riserva. Questa tecnica narrativa permette di riportare le parole dei personaggi liberandoli dalle regole del dialogo – punteggiatura relativa, tag dialogue, beat.
Il dialogo viene quindi a mancare dal punto di vista formale, ma resta come base verbale che mette in relazione tra loro i personaggi e relativi accadimenti. Non è possibile, infatti, concepire una narrazione senza relazioni, altrimenti si risolverebbe in uno scorrere di eventi appiattiti da una sola voce. Il rischio? Cadere nella trappola dell’autoreferenzialità. E ai lettori non sempre piace l’autoreferenzialità.
La soluzione
Scrivere libri senza dialogo si può, se ci avvaliamo del flusso di coscienza, o di un monologo. Il dialogo si spalma nel flusso, perdendo i tratti formali distintivi, ma non l’essenza della funzione verbale. Tutto questo, richiede una forte abilità da parte dell’autore, che può avvalersi di un mentor letterario, professionista abile a fornire strumenti critici per lo lo sviluppo del testo.
Dialogo o non dialogo, questo è il dilemma? La soluzione è una bella sfida creativa ma… attenzione alla penna!
Roberta De Tomi