Nel mondo – nella vita di tutti i giorni – c’è bisogno di maggiore rispetto, su questo non c’è dubbio. Molte parole sono abusate, molti atteggiamenti esagerati, molte battute fuori luogo.
Ma esistono dei limiti che non andrebbero mai oltrepassati e forse il politicamente corretto degli ultimi anni sta un po’ sfuggendo di mano. Passare da un eccesso all’altro è questione di pochi attimi.
Revisionare Roald Dahl
La notizia che gira questi giorni in merito ai romanzi di Roald Dahl, corretti dall’editore Puffin per adeguarli ai “nostri tempi” è da far gelare il sangue nelle vene.
Se il nome dello scrittore non ti dice nulla, ecco un titolo che non puoi di certo ignorare: “La fabbrica di cioccolato“. Uno dei libri (e film) per ragazzi più belli che siano mai stato scritti. Ecco, i nuovi lettori, coloro che acquisteranno le nuove edizioni non troveranno nel romanzo persone brutte, o grasse. Non potranno leggere di madri o padri ma di genitori. In sostanza, l’intero spettro di vocaboli associabili a una terminologia potenzialmente sessista o denigratoria è stato eliminato.
Rispetto ed educazione… è solo questione di “parole”?
L’idea di fondo – non solo dell’editore, ma di chi da mesi e mesi porta avanti questa campagna – è che il rispetto e l’educazione possano essere inficiati dall’uso di queste parole che portano in sé i germi del (pre)giudizio. E allora cosa dovremmo dire di tutte quelle fiabe colme di essere cattivi, malvagi, spaventevoli… magari nel prossimo futuro si potrebbe leggere e raccontare solo fiabe di belle principesse che fanno la manicure e principi azzurri palestrati. Oh, no… non si potrà dire “belle” principesse, perché questo significherebbe, in contrapposizione, che ce ne potrebbero essere di… non si può dire.
Cosa dirai a tuo figlio, che la bruttezza non esiste? Che siamo tutti perfetti? Certo, a nostro modo lo siamo, ma di una perfezione complessa che non esclude la possibilità di non essere belli fisicamente (perdonami la estrema semplificazione), di una perfezione che magari di tanto in tanto ci rende persone antipatiche, o non del tutto gradevoli. La scala dei valori partirà da un bel “sei” e arriverà al “dieci”. Ma allora… se mi guardi e mi dici che per te sono un “sei” non mi stai più dicendo che sono una persona bene o male gradevole, ma che sono letteralmente un cesso, no? Se “sei” è il minimo… Cesso si può dire?
Il problema non è nell’uso delle parole, ma nell’incapacità di educare i propri figli, nella tendenza a vedere solo in bianco e nero, dimenticando le sfumature. Davvero pensi che per un “bello” la vita sia facile, che non senta addosso la responsabilità di piacere? Magari invece è proprio un “brutto” a trovare la forza di essere unico, speciale, forte. Bello, brutto… generalizzazioni tagliate con l’accetta, ma un articolo si scrive così, sbattendoti in faccia le cose, non addolcendo e smussando i contorni. Un uomo grasso puoi chiamarlo come ti pare, ma sempre grasso rimane. E questo non fa di lui una persona meno speciale di te. Esistono le differenze ed esistono anche modi più o meno piacevoli per sottolinearle. Lo puoi fare con intelligenza e tatto, o da cafone. Ma non sarà una dannata revisione fatta male a un libro a farti crescere come una persona migliore. Sì, sono parole volgari. Ma hanno un loro “perché”.
Il peso delle parole. Il valore di essere brutti
Perché un libro che ti mostra il “brutto” magari ti sta solo insegnando il peso delle parole, e ti porta a saperle valutare perché ogni parola, appunto, ha un peso che non si può ignorare. Né censurare. E allora modifichiamo pure i pensieri e i dialoghi dei romanzi di Scerbanenco, no? Anche lì c’è il seme di una discriminazione tipica di quegli anni. Oggi non si parla in quel modo, non si pensa in quel modo. Cancelliamolo, Giorgio, è un villano.
Roald Dahl non si tocca
Un romanzo è uno specchio. Ti mostra un tempo diverso, persone diverse, luoghi diversi. Ti mostra quello che sei e quello che potresti essere. Qualche volta quello che leggi ti piace. A volte è BRUTTO. A volte lo scrittore usa troppe parole. Il testo è GRASSO. Altre volte i personaggi faranno cose indicibili. CATTIVI. E ci saranno pure quelle occasioni in cui si punterà il dito contro un diverso. Diverso da cosa? Da qualunque cosa.
C’è sempre un diverso, là fuori. Lo sei anche tu. Lo sono anche io. E qualcuno te lo farà notare. Forse non ti piacerà. Ma DIVERSO lo sei, in un certo contesto. E questa è la tua forza, la tua UNICITÀ. Non farti revisionare da nessuno. Altrimenti non sarai più tu. E ti avremo perso. Per sempre.
Andrea Franco