“Questo è pleonastico”. Gli aspiranti scrittori conoscono bene tale appunto, e cosa comporta. Ridurre, sintetizzare, rendere il testo più scorrevole. Il significato di pleonastico, però, va ricercato analizzando la storia etimologica del termine.
Un aggettivo che si ritrova spesso in campo editoriale, familiare a chi utilizza un italiano colto. Ma qual è il significato di pleonastico?
Ricercando il termine sul dizionario, troviamo la seguente definizione: dal punto di vista grammaticale pleonastico [ple-o-nà-sti-co] è un aggettivo che deriva dal greco pleonastikós, a sua volta derivato da pleonasmós (πλεονασμóς), da cui l’italiano pleonasmo, che significa propriamente eccesso, sovrabbondanza.
Una sovrabbondanza comune nel contesto grammaticale e linguistico
La parola più simile a pleonastico, e forse quella più utilizzata come suo sinonimo, è ridondante. Ovvero, qualcosa di cui è chiara l’inutilità formale. Un eccesso di dettagli, di spiegazioni, ma anche un’aggiunta a una proposizione: “Mario raggiunse la porta e uscì fuori”; oppure: “a me mi”. Sono gli esempi più comuni – ma tantissimi sono i possibili – per capire di cosa stiamo parlando. Dove altro si potrebbe andare, varcando la soglia della porta, se non fuori? E, ancora: “a me mi piace” sostituisce il corretto “a me piace”. Un esempio di utilizzo pleonastico è il comunissimo “Io personalmente”: chi sta parlando lo fa già in prima persona indicando il soggetto (io), a che pro aggiungere un avverbio per sottolineare l’ovvio?
Il significato di pleonastico, partendo da pleonasmo
Il pleonasmo è una figura retorica utilizzata che ha lo scopo di creare un particolare effetto in alcuni testi, prevalentemente di tipo poetico ma non solo. Non sempre, quindi, la scelta di parole superflue si rivela un errore. Quando si vuole enfatizzare un concetto, si può scegliere di ricorrere al pleonasmo. Molto amata da Cesare Pavese, è una formula usata per rinvigorire, dare forza e intensità alla frase, renderla più chiara. In parole semplici, il pleonasmo serve per rafforzare la comunicazione, dandole maggiore incidenza. Serve anche per rendere il livello dello scritto più comprensibile, in un certo qual modo “abbassando” il livello della lingua. Specificando l’ovvio si è sicuri di venire recepiti anche da chi utilizza un registro linguistico popolare e semplice.
Un errore o una scelta precisa: il diverso significato di pleonastico
Avvicinandosi alla lingua popolare, della massa, la scelta di ricorrere al pleonasmo può servire per rendere più credibili dialoghi o registri espressivi. È una delle questioni più dibattute da chi lavora come editor, anche perché il pleonasmo può essere anche un errore grammaticale. Quanto è lecito utilizzare registri linguistici informali al di fuori dei dialoghi? Quanto incide tale scelta nel testo finale? Accadeva con Alessandro Manzoni, il quale lo usa spesso per riprodurre il gergo popolare: “A me mi par di sì: potete domandare nel primo paese che troverete andando a diritta. – E glielo nominò.”(cap. XVI). E accade anche oggi, ad esempio con la lingua scelta da Alice Urciuolo nel suo Adorazione. La scrittrice ha affermato di aver soppesato con cura le parole e i toni nella costruzione del suo romanzo, per non snaturare il linguaggio normalmente utilizzato dagli adolescenti che ne sono i protagonisti.
L’evoluzione del significato di pleonastico
Occorre tenere presente che la lingua, e le sue regole, sono costantemente soggette a cambiamenti ed evoluzioni. Oggi, pleonastico ci riporta allo strumento di revisione word che ci avvisa della ridondanza di un termine, mentre il suo utilizzo, nell’italiano aulico, aveva una motivazione ben diversa. Per usare tale figura retorica consapevolmente, bisogna conoscerne l’origine e il senso. Soltanto così si può evitare di farlo diventare un errore e si può, invece, sfruttarne il potenziale nei propri scritti di prosa e poesia.