Su Infinity, la piattaforma streaming di Mediaset, tra i film disponibili alla visione c’è Woman in Gold, pellicola del 2015 con Helen Mirren e Ryan Reynolds.
Il film è tratto da una storia vera e tratta il tema delicato delle restituzioni delle opere d’arte a seguito dei sequestri operati dai nazisti alle famiglie ebree. In particolare, affronta le peripezie legali di Maria Altmann, nipote di Adele Bloch-Bauer, donna ritratta da Klimt nel quadro ribattezzato dai nazisti Woman in Gold.

Woman in Gold e la storia degli ebrei austriaci
Pretendere la restituzione dell’opera di Klimt, per Maria Altmann, vuol dire mantenere vivo il ricordo di sua zia e della sua famiglia. A seguito dell’Anschluss, l’annessione austriaca alla Germania, Maria ha dovuto abbandonare la sua famiglia d’origine per salvarsi la vita, fuggendo in America: la sua colpa era di essere ebrea, ma soprattutto ricca.
Ciò che colpisce del film e che deve far riflettere, oltre l’immensa vicenda umana della Altmann, è l’atteggiamento austriaco nei confronti del proprio passato. Perché, in fin dei conti, nel film come nella vicenda realmente accaduta è chiaro che la restituzione del quadro alla legittima proprietaria non sia soltanto una transazione ‘privata’, ma una vera e propria ammissione di colpa che, per forza di cose, incontra delle resistenze.

Perché parlare di Klimt il 25 aprile?
Parlare di Klimt e di Woman in Gold il 25 aprile è un modo per riflettere sul passato di due nazioni che sono state profondamente unite in termini di ideologie. Non bisogna dimenticare che, come in Austria, anche in Italia entrarono in vigore le leggi razziali, le confische, i sequestri di persona per nutrire i campi di concentramento.
Se Woman in Gold è l’espressione di un’Austria divisa tra chi si passa una mano sulla coscienza e chi cerca di insabbiare la testa per non leggere la Storia, l’Italia vive il ricordo della Liberazione come quello di un popolo che ha alzato la testa per se stesso.
Non si tratta, qui, di una questione di fare o meno ammenda. Il Fascismo fa parte della storia italiana ma ha un peso abbastanza considerevole da poter definire quel periodo come una pagina nera della Storia, il fondo da non toccare mai più. Un fondo da cui gli italiani stessi hanno deciso di risalire, alzando la testa per circondare i diritti umani di un recinto invalicabile.
Una doppia Liberazione

Woman in Gold, a suo modo, parla di liberazione. Una liberazione identitaria, quella di Adele Bloch-Bauer, modella di Klimt per il suo quadro; una liberazione morale, attraverso la restituzione del quadro a Maria Altmann, e una liberazione spirituale, quella della stessa Maria che è finalmente libera di poter parlare della sua storia a una nazione, quella d’origine, che sembra respingerla.
Nel film si è parlato molto del significato di ‘restituzione’, oggi invece è utile guardare al significato della parola Liberazione: liberazione vuol dire vivere se stessi senza una legge che dice quanto essere se stessi è sbagliato. Liberarsi vuol dire spogliarsi dell’onta fascista e usarla come punto di partenza per capire dove non si ha più voglia di tornare. Liberazione, in Italia, vuol dire la celebrazione dell’uomo come avente diritto, sì, ma è anche un fortissimo promemoria che rimediare a un torto grande, dall’uomo verso l’uomo, è possibile.
Onorare la Liberazione vuol dire avere abbastanza rispetto degli errori da non commetterli più, ricordando la lotta di chi è morto per questo.