Era il 16 marzo 1978. Pochi minuti dopo le nove del mattino, in via Fani, nel quartiere Trionfale di Roma, un commando delle Brigate Rosse rapì Aldo Moro.
L’allora Presidente della Democrazia Cristiana si stava recando in parlamento per votare la fiducia al nuovo Governo, presieduto da Andreotti e appoggiato anche dai comunisti. L’inizio di 55 giorni strani, particolari, per un’Italia che attraversava un periodo – l’ennesimo – nero.
Il rapimento di Aldo Moro
Cinquantacinque giorni di speranze infrante nel momento del ritrovamento, in un luogo che ancora oggi c’è chi vuole ammantare di simbolismi, nel Ghetto Ebraico, a due passi dalla sede del Partito Comunista e della DC.
Decenni di inchieste che ancora oggi non riescono a cancellare tutte le ombre, cinque processi e ben tre commissioni d’inchiesta. Ombre che vanno oltre la politica, perché il caso Moro arrivò a turbare tutti, anche chi la politica la sfiorava solamente, con superficiale disinteresse.
Il rapimento e l’uccisione di un politico di spicco ha proiettato l’Italia di nuovo in quel terrore fatto di incoerenza. Nessuno era al sicuro, c’era una forza armata pronta a tutto, contro tutti.
Il percorso di Aldo Moro politico
Un percorso, quello di Aldo Moro, che era cominciato segretamente, quando ancora il fascismo estendeva il suo controllo sull’Italia, quando ancora il partito di cui sarebbe divenuto segretario non esisteva ancora.
Era il 1938 quando divenne dottore in legge e correvano i primi anni Quaranta quando partecipava alle prime riunioni clandestine in presenza di nomi altisonanti come Alcide De Gasperi e Mario Scelba.
Un lungo percorso a cavallo di cambiamenti epocali, dove distinguere il bianco dal nero diventava ogni giorno più difficile. Poi gli anni Sessanta e l’occhiolino alla Sinistra del Partito Socialista e del Psdi. Fino alla svolta ancora più radicale e quell’apertura impensabile solo pochi anni prima, verso la sinistra più estrema del Pci.
Un dialogo che lo stesso Moro definiva “strategia dell’attenzione“, un’apertura verso una maggioranza ampia e qualificata, un cammino verso quel “compromesso storico” che forse compromesso non lo è stato per tutti.
16 marzo 1978
Il 16 marzo, un esercito di 19 brigatisti rapì Aldo Moro, quattro giorni prima che quel compromesso portasse Giulio Andreotti alla guida del Paese.
Un compromesso che mise alla luce ferite ancora non rimarginate di un’Italia che combatteva con un passato sanguinante. Il 16 marzo 1976 iniziarono 55 lunghi giorni di incertezza. Se non per la vita di Moro, per il destino di una Nazione che ancora dimostrava di non aver trovato un percorso lineare, fatta non di politica, ma di urla, di violenza, di uccisioni.
Oggi, 45 anni dopo, questo non vuole essere un articolo politico. Non è nulla di tutto questo. È un momento di ricordo, affinché tu possa renderti conto che certe volte il nostro (tuo) atteggiamento (privato e pubblico) è condizionato e condiziona una nazione intera, fatta di paure, di scelte, di incomprensioni.
Prova a chiederti se guardandoti attorno, oggi, vedi un’Italia diversa. Migliore o peggiore. Ti senti sicuro? Forse no. E questo non dipende solo dal politico o dal delinquente di turno.
Dipende anche da noi, da te, da me. L’Italia è lo specchio di quello che siamo, tutti noi, insieme. L’Italia, il mondo, la civiltà… sei tu. Tu per primo. Con i tuoi pensieri, le tue azioni, le tue domande. Che hanno bisogno di risposte. Risposte che a volte arrivano con un rapimento e la morte. Altre volte sembrano meno evidenti, ma ci sono. Tu sai leggerle, queste risposte?
Andrea Franco