Moby Dick o La Balena venne pubblicato per la prima volta nel 1851. Tra le prime recensioni, alcune riconobbero la portata del lavoro di Herman Melville. Altre non lo apprezzarono affatto. Il Post, per esempio, non lo ritenne nemmeno degno del prezzo di copertina (un dollaro e 50 centesimi). Solo nel corso del XX secolo venne definitivamente riconosciuto come grande opera letteraria. Ancora oggi, Moby Dick divide i lettori tra chi lo ama e chi lo odia, per via della sua lentezza, complessità e sperimentalismo linguistico. Eppure, è uno dei migliori romanzi di sempre.
Moby Dick – Un’allegoria olistica e senza fondo
La storia è nota. Ismaele è un uomo che vuole conoscere il mare, dunque, si imbarca sulla baleniera Pequod. Ma l’equipaggio verrà usato dal capitano Achab per vendicarsi del capodoglio albino che gli ha strappato una gamba. La premessa, dunque, è abbastanza semplice. Il suo sviluppo, molto meno.
Una delle ragioni per cui Moby Dick è una lettura così difficile (ed esaltante) consiste nel suo essere uno smisurato contenitore di letteratura. O meglio: di più letterature. Perché Moby Dick è prima di tutto un’immensa allegoria universale, che raccoglie tutti i temi e tutti i problemi che affascinano, ostacolano o in qualche modo muovono l’uomo. E questa allegoria ha molte facce e molti strati, fusi in un insieme fluido di generi letterari diversi.
Personaggi, monologhi e situazioni sono profondamente shakespeariani. E a tratti, sembra di leggere una tragedia o un dramma, con interi capitoli scritti in forma di sceneggiatura teatrale e relativi “exeunt” e “a parte”. In certi punti si passa a una sorta di teodicea in versi, non lontana dal Paradiso Perduto di John Milton. Ancora, molti capitoli sono veri e propri trattati di cetologia. Poi ci sono digressioni interminabili sulla figura della balena, sul suo significato, sulla sua presenza in cucina, nell’arte, nella giurisprudenza. Onnipresenti i richiami alla Bibbia, ai suoi nomi e alle sue tematiche di perdizione e salvezza. C’è un’analisi sociologica (e metaforica) dell’America di metà ‘800: la nave Pequod e il suo equipaggio. E tanto, tanto altro. Tra cui, certo, anche una grande avventura di mare, un piacevole racconto (simbolico) di pericoli e coraggio.
Herman Melville – Uno sperimentatore indefesso
La prosa di Melville è maestosa, riflessiva, epica. L’autore ne aveva bisogno, perché si era incaricato di raccontare ed esaminare qualcosa di sublime e totale. Tuttavia, il suo è anche uno stile incredibilmente flessibile. Di volta in volta, ha in sé la bellezza e il mistero del verso, la precisione del trattato scientifico o filosofico, l’ironia della commedia. Non poteva essere altrimenti. Solo una penna multiforme avrebbe potuto assolvere a tutti i generi e argomenti che l’opera affronta.
E così, il lettore non ha il tempo di abituarsi ad uno stile in particolare, perché tutti i toni e tutti i registri vengono usati e alternati senza soluzione di continuità. I virtuosismi di Melville sono accomunati unicamente dal venire espressi tramite periodi molto lunghi: l’autore si prende tutto lo spazio e il tempo che vuole, prima di giungere al punto. Tanto che spesso e volentieri ci si dimentica di cosa si stia parlando, e si continua per inerzia, piacevolmente trascinati dalla marea delle parole.
Moby Dick – Un grande racconto dell’umanità
I temi esplorati in Moby Dick sono sin troppi. Uno dei più immediati è quello della tragica lotta dell’uomo contro il fato avverso. Achab perde la propria gamba in un incidente di caccia. E la ferita lo porta ad un soffio dal sonno eterno. Gli ricorda che, prima o poi, morirà. Il motore degli eventi è infatti il rifiuto di Achab della propria condizione mortale. Uccidere Moby Dick è più di una semplice vendetta. È uccidere la morte, ovvero negarla. È la hybris dell’uomo contro l’ordine naturale, contro il destino.
Molti contenuti sono strutturati in una fitta relazione di opposizioni multiple tra i personaggi. Ismaele, Achab e Moby Dick, per esempio. Nei confronti dei cetacei, Ismaele è cauto e contemplativo. Possiede l’atteggiamento dello studioso, pieno di meraviglia e rispetto per quella natura che si sforza di comprendere. Achab, invece, è un cacciatore aggressivo, che vuole dominare e possedere una natura pacifica o indifferente. Perciò, la conoscenza che egli ricava dalle proprie azioni (la caccia alle balene) è un trauma collaterale, non voluto, non cercato. Uno squarcio nel velo che copre l’abisso, e cioè che la supremazia e l’invulnerabilità dell’uomo sono un’illusione.
Non sorprende, dunque, che Achab veda Moby Dick come l’incarnazione del male. Ismaele fornisce un’interpretazione diversa: il leviatano come entità inconoscibile. Ogni sua disquisizione anatomica o filosofica al riguardo sta appunto a sottolineare che non è possibile inquadrare in una prospettiva umana, finita e precisa, il titano dei mari. Che, pertanto, resta imperscrutabile.
Moby Dick – Il romanzo della percezione
In effetti, in Moby Dick c’è un tema sotterraneo a tutti gli altri e che li unisce. Quello della percezione. Ogni uomo ha uno sguardo diverso sul mondo, perché ricettacolo di esperienze, valori e obiettivi diversi. È emblematico, in questo senso, il capitolo 99, Il doblone.
Achab ha inchiodato un doblone d’oro all’albero maestro della Pequod. È il premio per chi avvisterà la bianca balena. In questo capitolo, molti personaggi lo esaminano con attenzione, ricavandone ciascuno un significato diverso, che riflette il proprio modo di pensare. Achab vi vede unicamente sé stesso e la propria condanna alla rovina. Starbuck vi vede la triste speranza che contraddistingue gli uomini. Stubb vi vede tutte le fasi della vita, dalla culla alla tomba, e l’indifferenza della natura. Queequeg vede solo un vecchio bottone prezioso.
Ogni persona (e ogni lettore) vede un mondo diverso, ed è per questo che una singola balena può rappresentare tutto e il contrario di tutto. Moby Dick o La Balena può assumere qualsiasi significato. La più grande qualità del romanzo, il motivo per cui ancora oggi c’è chi non si stanca di leggerlo e rileggerlo, sta proprio nelle sue infinite possibilità d’interpretazione.