Matrix Resurrections riporta la celebre saga di fantascienza nelle sale dopo ben 19 anni. Stavolta, con la regia della sola Lana Wachowski, e volti vecchi e nuovi.
Thomas Anderson è un programmatore di videogiochi, celebre per la sua trilogia di The Matrix. Soffre di allucinazioni e non riesce a distinguere la finzione dalla realtà. Ma nulla (ora più che mai) è come sembra.
Matrix Resurrections – in origine era una trilogia
Prima di Matrix Resurrections la saga comprendeva: The Matrix (1999), The Matrix Reloaded (2003), The Matrix Revolutions (2003). In un futuro distopico, le macchine coltivavano gli esseri umani come fonte di energia. Li avevano rinchiusi in una realtà virtuale che per loro era la vita quotidiana. Pochi ne erano consapevoli e lottavano per liberare gli altri, fuori e dentro la matrice.
Questa trilogia fu, per il cinema di allora, una novità assoluta, soprattutto in termini visivi e di sequenze d’azione. Non si può dire lo stesso dal punto di vista dei contenuti. Declinazioni action e cyberpunk dei concetti filosofici di identità, percezione e realtà virtuale erano già stati sviluppati in altri media. Basta pensare a Ghost in the Shell (il manga di Masamune Shirow), oppure a Neuromante (il romanzo di William Gibson).
Ciò che era nuovo in Matrix era lo stile con cui il tutto veniva raccontato. Metafisica condita con bullet time e kung fu. I costumi, le scenografie, i combattimenti e i dialoghi erano studiati per creare un successo commerciale, nonché di critica. Da ricordare anche la colonna sonora, un’alternanza funzionale di cori, orchestra, sintetizzatore e hard-rap-funk/hip pop. La storia, però, iniziava a zoppicare dopo il primo capitolo, facendosi sempre più intricata e ambigua. Per di più, il finale era aperto e non chiudeva perfettamente il percorso di Neo, l’iconico protagonista interpretato da Keanu Reeves.
Matrix – dentro la matrice, fuori dal cinema
Da allora, molte cose sono cambiate, tanto nel mondo reale quanto in quello virtuale. I fratelli Wachowski sono diventate le sorelle Wachowski. Matrix è diventato un’icona. I suoi termini e le sue soluzioni visive sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo (l’eletto, le righe di codice verde). Il mondo del cinema è arenato in una lunga fase di rischio produttivo zero. Ovvero di riciclo dei successi del passato, con sequel, prequel, spin-off, reboot. Perciò è chiaro come Lana Wachowski abbia deciso di usare Matrix Resurrections per irridere quello che oggi è Hollywood. Infatti, il film è altamente consapevole, metacinematografico e autoironico.
Insomma, Matrix Resurrections è molto, molto diverso dalla prima trilogia. Per tutta la sua durata, il film propone agli spettatori temi e stilemi ben noti. Anche tante situazioni e sequenze d’azione si ripetono, un fanservice dichiarato e nostalgico. Tuttavia, Lana Wachowski lo rimescola con un’autoanalisi ironica e sfacciata. La regista riflette su tutto ciò che Matrix è stato e sui meccanismi che l’hanno portata a riesumare quella storia sepolta nel 2003. Dunque, la più grande qualità (e novità) di Resurrections è la sua metatestualità. Ma è anche la sua più grande debolezza.
Matrix Resurrections – una nuova fine o un nuovo inizio?
Molti spettatori troveranno fastidioso il ripiegarsi del film su sé stesso e sul suo passato. Altri non apprezzeranno il cambio di regia e coreografia nelle scene d’azione. Effettivamente, sanno di già visto, sono confusionarie e in linea con gli standard odierni. Né si può sorvolare sulla debolezza del finale, che non aggiunge né toglie nulla. Tanto che viene da chiedersi se non sia piuttosto un preludio a nuovi, scialbi film ambientati nello stesso universo. I cinefili più attenti, però, sapranno apprezzare alcune scelte interessanti, come il sapiente uso del colore.
Mai come prima, l’illusione della matrice è sottile e difficile da identificare. Il mondo virtuale non è più freddo ed inquietante. Anzi, è calmo e piacevole. Perciò, via l’onnipresente e innaturale filtro verde. Benvenuta la nuova palette cromatica, che gioca sul blu e sul rosso, gli stessi delle pillole. Filtro blu e oggetti blu per le sequenze ambientate nel mondo virtuale. Filtro rosso e oggetti rossi per rappresentare la realtà e la schiavitù degli uomini. O i momenti in cui i personaggi, non ancora del tutto svegli, intuiscono l’illusione. Ma i due colori non sono gli unici usati. Compare con insistenza anche il giallo, per alcuni ricordi o per i momenti di rivelazione e cambiamento.
Questo “approccio arcobaleno” ha anche il preciso scopo di rafforzare l’allegoria transgender, ormai confermata. Il cuore di Matrix restano le idee di trasformazione e desiderio di verità. Che si nasconde (letteralmente) oltre il proprio corpo, nel quale (letteralmente) non per forza ci si riconosce. In Matrix Resurrections si sprecano i riferimenti alla difficoltà di scegliere tra due sole opzioni antitetiche: altruismo/egoismo, pillola blu/pillola rossa, illusione/verità, destino/scelta, maschio/femmina. I sistemi binari non esistono. Se non in una realtà virtuale fatta di 0 e 1, che infatti è solo un’elaboratissima bugia. La quale, forse, ci è stata spiegata una volta di troppo.