Cady sta andando in vacanza sulla neve con i genitori. Il menage della famigliola viene interrotto da uno spazzaneve che sbuca dalla tormenta e investe la loro auto. Unica sopravvissuta, la bambina viene affidata alla zia Gemma, che lavora in una fabbrica di giocattoli hi-tech.
Una scadenza pressante e la difficoltà a comunicare con la nipote traumatizzata mettono la donna in difficoltà, ma un caso fortuito le fornisce l’uovo di colombo. La soluzione ai suoi problemi si chiama Megan (M3GAN: Model 3 Generative Android). L’invenzione di Gemma è un robot con un’avanzata intelligenza artificiale. Un’amica che proteggerà Cady dal male, a ogni costo.
Questa è la trama di Megan, il nuovo film di Gerard Johnstone che sta spopolando nelle sale.
Difficile dire se la pellicola si possa definire di genere horror oppure fantascienza. Prendendo in considerazione la storia narrata sullo schermo, nuda e cruda, si potrebbe propendere per la seconda opzione.
I tasselli ci sono tutti. Dal robot, un classico del genere fin dai tempi di Asimov, all’intelligenza artificiale con tutte le paure e le speranze più istintive che la sua evoluzione suscita nell’uomo contemporaneo.
I temi e trattati in Megan e i personaggi che ne animano la trama lasciano pochi dubbi a riguardo (e chi ancora ne avesse può farsi una cultura qui). Sulla carta si potrebbe proprio pensare alla fantascienza. Un film, tuttavia, non vive di sole idee.
In Megan sono presenti diversi elementi fondamentali dell’horror.
Fuor di metafora (ma anche dentro), M3gan diventa un mostro. Moralmente, ma in alcune scene anche fisicamente, l’androide diventa qualcosa di non umano.
Si comporta come i mostri delle grandi saghe anni Ottanta e Novanta come Jason e Michael Myers. Ed è qui che il film cambia marcia adottando tutti gli elementi tipici dello slasher sullo stile di Venerdì 13. Gli omicidi in serie con un elemento di creatività, gli inseguimenti stile gatto col topo e il confronto finale con una ragazza, anzi due.
Ma questo cambio di passo, in Megan, funziona oppure no?
Non del tutto. Visivamente, la bambola robot è inquietante. Il suo volto è chiaramente artificiale ma molto verosimile. I suoi occhi bucano lo schermo e trasmettono un senso di minaccia costante, prima latente e poi dichiarata. Quando si scatena contro gli esseri umani, i movimenti di M3gan sono quelli di un predatore conscio della sua superiorità, di un gatto che gioca con il topo.
Il ritmo del film è davvero grandioso. Parte piano, con una costruzione riflessiva da film di fantascienza che lascia intendere dove andrà a parare. Ma ci arriva con i tempi giusti e, scollinato il momento migliore della narrazione, accelera come una palla di fucile. A livello di regia, di scrittura, di ritmo il film gira davvero alla grande, un horror fresco e divertente.
Quindi, cosa non va in Megan?
Un buco enorme a livello di caratterizzazione. Un’intelligenza artificiale super evoluta in grado di migliorarsi costantemente con una velocità di apprendimento dovrebbe essere… intelligente. E invece è stupida.
Potrebbe, anzi dovrebbe, agire in maniere subdola, sottile, colpendo i suoi avversari in nelle maniere più spaventose senza farsi scoprire. E invece carica come un rinoceronte, utilizzando la forza bruta per sterminarli uno a uno. Solo in un caso accenna a una scusa brillante per coprire un duplice omicidio, ma il fatto succede verso la fine e non viene approfondito.
In definitiva si può considerare Megan un film riuscito?
Sì, certamente. La pellicola diverte e riesce a essere qualcosa di più del remake di La bambola assassina come in tanti l’hanno definito. M3gan non è Chucky, è una minaccia al passo con i tempi, un mostro pieno di potenzialità in un horror moderno (un po’ come questo ).
Il fatto che non vengano tutte sfruttate a dovere è un limite ma non compromette un’opera di buon livello che potrebbe dar vita a una serie di sequel che riporterebbero gli spettatori ai tempi di Nightmare e Halloween.