Ancora acceso in Italia il difficile dibattito sulla necessità di adottare un linguaggio inclusivo di genere. Per adeguare la lingua ai cambiamenti culturali, sempre più orientati al superamento del binarismo di genere. Radicato nella nostra società tradizionale. L’italiano è una lingua flessiva con due soli generi, il maschile e il femminile. E in caso di moltitudini miste prevede che si ricorra al maschile sovraesteso, detto anche generalizzato. Basta che in un gruppo numeroso sia presente un solo uomo per declinare il plurale al maschile. In altri paesi invece il linguaggio ha subito alcune modifiche in direzione di una crescente incusività. Per stare al passo col processo di emancipazione sociale.
Il dibattito sul linguaggio inclusivo di genere
L’adeguamento del linguaggio ai cambiamenti sociali in tema “di genere” è un tema ancora molto scottante in Italia. Che ha coinvolto scrittori, giornalisti e intellettuali. E li ha visti schierarsi su posizioni contrastanti. Se da un lato sono in molti a far notare l’esigenza di una trasformazione del linguaggio. In direzione di un superamento delle logiche maschiocentriche e della concezione binaria dei generi. D’altro canto c’è chi, come l’ Accademia della Crusca, ha preso le distanze dalle soluzioni inclusive.
Quando, il 25 luglio scorso, il giornalista della Stampa Mattia Feltri ha schernito la soluzione dello schwa, attribuendola a un’accademica della Crusca. La quale – a suo dire – ne avrebbe parlato su Facebook. il Presidente dell’Accademia Claudio Marazzini ha subito smentito l’esistenza di qualunque legame con l’autrice di tale proposta.
Marazzini e Feltri stavano parlando di Vera Gheno, sociolinguista, traduttrice e docente universitaria, che ha interrotto la collaborazione con l’Accademia nel 2019. L’ autrice di numerosi saggi di linguistica e comunicazione da tempo studia alcuni fenomeni linguistici molto dibattuti. Come il superamento del binarismo di genere e del maschile sovraesteso nella lingua italiana.
L’inclusività dello schwa
Nel saggio Femminili singolari, pubblicato nel 2019, l’autrice Vera Gheno propone l’introduzione dello schwa. Simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale e spesso corrispondente a una vocale media-centrale.
Ad esempio nella frase “Buonasera a tutti” rivolta a un gruppo misto di persone si potrebbe sostituire il maschile sovraesteso espresso dalla desinenza “-i” con lo schwa e dire dunque “Buonasera a tuttə”. La pronuncia corrisponde a un suono vocalico neutro, indistinto, già presente in molti dialetti del centro e sud Italia.
Per quanto al momento lo schwa appaia come la soluzione più praticabile poiché si tratta di un fonema neutro, già esistente e applicabile, presenta anch’esso dei limiti. A partire dal fatto che tale simbolo non compare ancora sulle tastiere di cellulari o computer. Inoltre, essendo un suono presente solo in alcuni dialetti dell’Italia meridionale, può risultare difficile da comprendere e pronunciare per coloro che non conoscono e non parlano quei dialetti.
Il maschile sovraesteso nel linguaggio inclusivo di genere
L’Enciclopedia Treccani, approfondendo il rapporto tra genere e lingua, spiega i modi diversi con cui il maschile sovraesteso si applica nella lingua italiana. Con il ricorso a termini maschili che indicano gruppi composti da uomini e donne.
Di nomi professionali al femminile si discute in Italia da molto tempo. Ne hanno parlato ad esempio Alma Sabatini e e Cecilia Robustelli. Sottolineando la validità linguistica e l’importanza politica di declinare al femminile le professioni svolte da una donna. Il maschile sovraesteso viene spesso confuso con il genere neutro, che però in italiano non esiste. La nostra lingua infatti comprende solo due generi, il maschile e il femminile. Motivo per cui si parla anche di binarismo linguistico.
Il binarismo di genere
Il binarismo di genere riconosce l’esistenza di due sole categorie, uomo e donna, a cui sono associati ruoli e caratteri specifici. All’uomo corrisponde tutto ciò che nell’immaginario comune è considerato maschile, alla donna tutto ciò che è definito come stereotipicamente femminile. Non ammette perciò l’esistenza di identità di genere altre rispetto a quelle di uomo e donna. E rinnega la distinzione tra sesso e genere. Concepiti ormai come entità separate.
Il sesso è l’insieme di caratteristiche fisiche, biologiche e anatomiche che caratterizzano un individuo. Mentre il genere è un costrutto sociale, che riguarda i comportamenti che la società attribuisce a un determinato sesso, ovvero il ruolo di genere. Ma anche la percezione che ciascuno ha di sé: l’ identità di genere.
Il superamento del binarismo implica la concezione del genere non più come una classificazione fatta da due soli elementi. Bensì come l’apertura a diverse possibilità. Coloro che non si identificano nelle categorie uomo-donna, ad esempio, possono riconoscersi come persone non binarie. Le persone transgender, ovvero coloro che hanno un’identità di genere diversa rispetto al sesso assegnato alla nascita, possono non rivedersi nel binarismo. Negli studi di genere e in certi ambiti della linguistica, ci si sta dunque interrogando su come costruire un linguaggio inclusivo che tenga conto di tutte le soggettività. Oltrepassando il binarismo anche a livello linguistico. Perchè la vera rivoluzione parte proprio dal linguaggio.