Cos’è che si intende quando si parla di linguaggio inclusivo?
Il dibattito sulla questione dell’evoluzione della lingua e il linguaggio inclusivo è quanto mai aperto. Se ne sente parlare in ogni ambito da quando, circa un decennio fa, ci si è trovati a discutere sulla corretta declinazione di alcune professioni e/o incarichi storicamente riservati agli uomini. Allora, ecco che termini come “sindaca”, “ministra” e “ingegnera” hanno fatto capolino provocando le reazioni più disparate.
Il punto di vista della grammatica italiana
La concordanza grammaticale è una regola e, a certe professioni, le donne accedono da tempo immemore. Per questo parole come infermiera, femminile di infermiere, non stupiscono assolutamente. Quindi, il linguaggio inclusivo cos’è? Può essere che la finale in “a” sia solo la punta dell’iceberg di una questione molto più spinosa, ossia quella di vedere le donne svolgere, finalmente, ruoli prettamente da uomo… anche in politica.
La sindaca e… la Presidente del Consiglio
Per la prima volta, in Italia, una donna è arrivata al vertice del Consiglio dei Ministri. Un risultato notevole, a prescindere dalle considerazioni politiche di ognuno. In termini di linguaggio inclusivo, tuttavia, è opportuno citare alcune dichiarazioni di Giorgia Meloni: “Io credo che le donne si debbano giudicare per il merito. In questi giorni si è fatto un gran parlare, grandi polemiche sull’uso de ‘il presidente’ o ‘la presidente’, ma io non ho mai pensato che la grandezza delle nostre battaglie si misuri nel farsi chiamare ‘capotrena’, ho pensato che fossero ben altri i temi su cui occorreva battersi”.
C’è dunque il rischio di poter tornare indietro e dover abbandonare parole ormai in uso nella loro accezione femminile?
Il linguaggio inclusivo cos’è? La questione oltre al sesso
Il dibattito sulla questione dell’evoluzione della lingua è quanto mai aperto. Se la lingua italiana prevede il genere maschile e il genere femminile ma non il neutro, così non è per la realtà dei fatti. Esistono persone che non si sentono di appartenere né a un sesso né a un altro, per esempio. L’inclusività del linguaggio coinvolge anche loro, le persone non binarie.
Come inserire il neutro in una lingua che non lo prevede? Facendo leva sul fatto che la lingua si evolve, cambia ed è strumento di creatività? Potrebbe funzionare, in teoria. In pratica, la lingua si evolve quando alcuni termini si radicano naturalmente nel quotidiano, quando i chi parla sente la necessità di esprimere un concetto nuovo.
Nella società attuale, alcune immagini stentano a trovare spazio: è il caso di una persona non incasellabile in un genere. Occorre quindi aspettare che ci si evolva culturalmente prima di inserire alcuni segni neutri, come la vocale centrale media rappresentata nella forma scritta da una e rovesciata (ə), ossia lo schwa? O si può forzare la mano, e la parola, iniziando ad affrontare la questione dal punto di vista strettamente tecnico?
Difficile dare una risposta, e per questo linguisti, scrittori e scrittrici, come Michela Murgia, stanno portando avanti campagne divulgative e di sensibilizzazione.
Editoria e schwa: quali margini di utilizzo?
In Italia, una casa editrice che utilizza lo schwa esiste già, ma si procede per gradi. La casa editrice Effequ ha portato, per prima, lo schwa nei libri. Al momento solo nei saggi, ritenendo che in questo settore potesse essere già accettato. Non resta che aspettare di vedere come si evolve la questione, senza dimenticare che le buone dichiarazioni d’intenti, quando non seguite dai fatti, servono a poco.
Includere solo dal punto di vista linguistico è la prima metà del lavoro. L’editoria, al momento, può assolvere alla sua funzione principale: quella di parlare dei diritti della comunità LGBTQ e dei rischi corsi dalle minoranze.