Nel campo dell’editoria, il fumetto è protagonista di una virtuosa evoluzione in termini di vendite. I dati del 2021 pubblicati dall’AIE (Associazione Italiana Editori) in occasione del Salone del libro di Torino 2022 confermano questa crescita vertiginosa traducendola in un numero: 11,543 milioni di fumetti venduti tra librerie e shop online.
Il fumetto scala la classifica delle vendite in Italia
Questi dati, che designano un momento d’oro per la nona arte, meritano di essere posti all’interno di una mappa – o una tavola, per restare in tema – segnante la strada percorsa dal fumetto, dalle edicole alle applicazioni di lettura, dalla matita al tratto digitale.
Carmen Guasco, fumettista e insegnante di fumetto salernitana nonché una delle autrici di Fai rumore, antologia curata dal collettivo Moleste per Il Castoro, ha prestato la sua matita a Other Souls per disegnare in questa intervista una mappa con tratto netto.
In un momento delicato per l’editoria tradizionale, in leggera flessione, il fumetto e la sua evoluzione stanno facendo controtendenza. Come mai, secondo te? Credi sia in atto una rivoluzione artistica?
Credo che si stia iniziando a considerare davvero il fumetto come un prodotto che abbia di diritto un suo posto nell’editoria. Prima della pandemia e dei trend di vendita schizzati alle stelle – e ancora oggi in alcuni salotti di sedicenti intellettuali – il fumetto è sempre stato considerato un prodotto di serie B. Basti pensare alla necessità di utilizzare, spesso in modo improprio, il termine “graphic novel” per nobilitare un fumetto ed elevarlo rispetto a serialità più commerciali. Fino a qualche anno fa, in libreria, il reparto fumetti non era che uno scaffale confuso e nemmeno troppo curato. Adesso gli spazi dedicati si sono espansi in maniera vertiginosa e questo fa sì che le librerie pullulino di ragazzini.
Una tendenza del genere non può essere che positiva, per la cultura: crescere giovani lettori è una speranza. Per concludere, il motivo per cui ciò accade non è solo uno, ma viene spontaneo considerare quello più semplice: la maggior parte dei manga di successo sono a loro volta stati trasposti in anime (cartoni animati, ndr) cosa che avvicina inevitabilmente un ragazzino alla lettura dell’opera originale, vuoi per evitare lunghe attese, vuoi per curiosità.
Nel tempo, il fumetto è stato oggetto di alcune censure, alcune sdoganate soltanto negli ultimi quarant’anni. Quali sono i traguardi raggiunti e quali, secondo te, quelli a cui ancora bisogna puntare?
Come succede oggi con i videogiochi, demonizzati ogni qual volta avviene una tragedia, lo stesso accadde con i fumetti meno di un secolo fa a opera del dott. Wertham, uno psichiatra che perorò con pubblicazioni ricche di dati manipolati la teoria secondo la quale i fumetti contribuissero a deviare i ragazzini. Negli Stati Uniti nasceva allora, nel 1954, il Comics Code Authority, che mutò per anni figure come quella di Wonder Woman, passata a stirar camicie, e privò il mercato fumettistico della possibilità di usare creature del terrore – zombie, vampiri, licantropi – o utilizzare vere e proprie armi. Ne conseguì un appiattimento delle tematiche, dei personaggi e delle trame, che si riducevano a un “buoni vs. cattivi”.
Solo nel 1971 Stan Lee scrisse una storia di Spider-Man sull’uso degli stupefacenti, ribellandosi per la prima volta in modo netto alla censura e dando così inizio a una rivoluzione, che tuttavia ha visto abbandonare il “bollino di qualità” solo negli anni 2000. Mi rendo conto che una lezione di storia del fumetto non era prevista, ma risulta fondamentale per contestualizzare al meglio la domanda e rispondere.
La maggior parte delle evoluzioni culturali, di sensibilizzazione ad alcune tematiche e di rappresentazione inclusiva sono avvenute tramite le icone del fumetto mondiale: basti pensare al peso che ha avuto la creazione di Miles Morales – lo Spider-Man afroamericano dalle origini latino-portoricane, tra l’altro a firma della nostra Sara Pichelli – e l’effetto a catena che ne è derivato. Il fumetto è, a diritto, uno strumento pedagogico di massa potentissimo, capace di veicolare messaggi non solo di inclusività, ma anche di informazione.
Si può dire allora che il fumetto stia ‘abbandonando’ la sua veste di intrattenitore per vestire anche quella di informatore?
Il fumetto non abbandonerà mai la sua veste di intrattenitore, per questo sarà sempre uno strumento di informazione in crescendo e preferibile a quelli più ufficiali, ma meno coinvolgenti. Che sia di storia, di tematiche sociali o di graphic journalism, che si andrà a leggere, la capacità di accompagnare ai testi le immagini e giocare tramite quelle è una freccia fondamentale all’arco della nona arte.
Parlando di evoluzione, viene spontaneo partire proprio dalla materia prima, dal disegno. Nell’era del digitale, com’è cambiato il modo di lavorare a una storia?
Quando ho iniziato a studiare fumetto, letteralmente si aveva bisogno solo di una matita e di un foglio. E questo accadeva non più di dieci anni fa. Le tavole (pagine di fumetto, ndr) erano confezionate a mano, una a una, e sbagliare qualcosa significava allungare inevitabilmente i tempi, cercando di patchare l’errore lì dove possibile o addirittura ricominciare tutto da capo.
Solo negli ultimi anni, con l’avvento di una tecnologia più mirata, l’esodo al digitale ha coinvolto man mano sempre più artisti, nonostante le non poche remore iniziali e generaliste. La velocità che ne abbiamo guadagnato è immensa. Ovviamente il digitale non rende più semplice disegnare, ché se non sai farlo è comunque evidente, ma permette di correre ai ripari, modificare o correggersi con passaggi più veloci e maggiore pulizia nella resa finale. Inoltre, è possibile creare e utilizzare ambienti o anche oggetti in 3D, con conseguente snellimento dei passaggi, o per esempio giocare con più palette di colori e decidere in un secondo momento.
Insomma, il digitale ci ha semplificato indubbiamente la vita, a fronte di un mercato che spesso non paga quanto dovrebbe. E questo non discrimina in alcun modo l’analogico, che in tal senso può mantenere i costi che merita, tramite le commissioni.
Restando nell’ambito del digitale, c’è da dire che non solo è cambiato il modo di lavorare al fumetto, ma anche quello di leggerlo. Come si è modificata la struttura di una tavola con l’uso sempre più comune degli e-reader?
Negli ultimi anni il fumetto ha spopolato tanto su piattaforme social come Instagram, che su pagine web o addirittura applicazioni dedicate. Nel primo caso abbiamo assistito all’avvento di vignette a scorrimento orizzontale e quadrate, i caroselli. Un esempio su tutti può essere considerata FumettiBrutti. Questo metodo, tuttavia, non è tanto differente dalle canoniche strisce che hanno fatto la storia del fumetto e delle quali ci ha deliziati anche Zerocalcare.
La vera evoluzione la vediamo nelle piattaforme dedicate allo scorrimento verticale del fumetto. Lì dove, nel cartaceo, ogni tavola era strutturata secondo regole legate all’impaginazione, con colpi di scena e doppie pagine previsti con metodologia maniacale, lo scorrimento verticale abbatte tutto e chiede un nuovo modo di narrare per immagini. Un linguaggio che sia suo e suo soltanto. E alla quale nascita e sviluppo stiamo assistendo in questo stesso istante, come accade per i video verticali. A ben pensarci è emozionante, non è vero?
Una realtà da seguire con attenzione
Dalle parole di Carmen si evince come seguire l’evoluzione del fumetto in quanto realtà dell’editoria sia importante, e non soltanto per ciò che riguarda i numeri prodotti. Il fumetto è una fucina creativa immensa, il cui valore è da quantificarsi anche alla luce dei modelli creati e dei messaggi trasmessi.