Katherine Heigl e Sarah Chalke sono le protagoniste di una serie Netflix che punta sulle sfide di ogni giorno e sull’amicizia fra due donne molto diverse
Lo spunto non è dei più originali: cinema e fiction televisiva traboccano di storie sull’amicizia fra due persone che sono l’una l’opposto dell’altra per aspetto fisico, carattere, aspirazioni, concezione della vita, eppure condividono un legame di affetto indistruttibile. Ma poter dipanare la storia su un numero adeguato di puntate, aver scelto tre linee temporali da seguire e aver smorzato nei punti giusti le differenze tra le due protagoniste (insomma, non “la secchiona” e “l’esplosiva”), rende L’estate in cui imparammo a volare una serie interessante – anche se qualche calo di tono ogni tanto si sente, forse otto puntate sarebbero state meglio di dieci.
La serie, in originale Firefly Lane, è tratta dal romanzo omonimo di Kristin Hannah. Kate e Tully vivono l’adolescenza all’inizio degli anni Settanta crescendo in famiglie diversissime. Una è assolutamente tradizionale: due genitori, due figli (maschio e femmina), torta di mele e partite di football americano in tv. L’altra è condizionata pesantemente da una madre single, figlia dei fiori, tossicodipendente ed egocentrica, che ha preso la figlia a vivere con sé dopo averla lasciata per tutta l’infanzia e la preadolescenza con la nonna. Eppure le due ragazze qualche punto di contatto ce l’hanno, se non altro perché sono vicine di casa e prendono l’autobus insieme per andare alla stessa scuola. Abitare l’una di fronte all’altra significa vedersi reciprocamente nei contesti che agli altri ragazzi del posto sono preclusi, scoprire le piccole o grandi crisi della loro età e delle famiglie, tendersi una mano quando altre, nei paraggi, non ce ne sono. E condividere un sogno per il futuro: diventare giornaliste insieme.
A volte, una lunga amicizia è anche una gara di resistenza
Pur essendo la narrazione equilibrata nel seguire le vite e le carriere delle due donne, il focus tende a spostarsi inevitabilmente su Tully (Katherine Heigl), “la persona più triste che io conosca” la definisce Kate (Sarah Chalke), nonostante Tully sia un uragano. L’inestinguibile sete di amore e di attenzione che si porta dietro, generata dall’assenza del padre e dalla presenza/assenza di una madre inqualificabile, la spinge a sgomitare per ottenere attenzioni e carriera. La sua presenza ingombrante, sebbene spontanea e mai dettata da malizia, non è semplice da gestire per chi le sta intorno: essere la migliore amica della famosissima cronista televisiva Tully Hart, dalla vita lussuosa e frenetica, può essere sfiancante. Alla lunga, ci sono conseguenze.
Dal punto di vista della messa in scena, l’elemento che più salta all’occhio è ovviamente il triplice livello temporale con il quale ci viene mostrata la vita delle due donne: l’adolescenza negli anni Settanta, la giovinezza e l’inizio di carriera nei primi anni Ottanta, la maturità nei primi anni Duemila, il tutto alternato in ogni puntata (tanto che a volte si rischia di confondere un periodo con l’altro, se non si presta molta attenzione ad abbigliamento, acconciature e mobilio) e corredato da una colonna sonora che va da John Denver a Elton John a Katy Perry. Con qualche concessione didascalica a temi su cui oggi c’è una sensibilità diffusa, molto meno nei decenni in cui si svolge la storia.
C’è anche una quarta linea temporale, appena accennata, che getta un’ombra preoccupante sul destino di una delle due protagoniste, un gancio perfetto per condurre lo spettatore a seguire una puntata dietro l’altra e a chiedersi: il loro rapporto sarà ancora saldo, alla fine, o dovranno accontentarsi di “soli” trent’anni di intensa amicizia? Per una risposta definitiva bisognerà aspettare la seconda stagione, che però non è ancora stata confermata.