L’antico Egitto e la scrittura sono tra le poche cose che affascinano l’umanità anche dopo millenni. Chi non ha mai sognato, almeno una volta nella propria vita, di recarsi all’interno di una piramide e scoprire artefatti magici e misteriosi risalenti al tempo dei faraoni?
Il Museo Egizio di Torino, da sempre un punto di riferimento culturale per tutti gli amanti della materia, inaugura il 7 dicembre 2022 la mostra Il Dono di Thot: Leggere l’antico Egitto.
In occasione del bicentenario della decifrazione dei geroglifici, scoperta d Jean-François Champollion, il Museo Egizio ha deciso di rendere omaggio all’evento che segnò la nascita dell’egittologia moderna.
Per questo la mostra, che sarà possibile visitare fino al 7 settembre 2023, offre una panoramica completa di tutte le scritture e di tutte le lingue della civiltà egizia, che fu una delle prime popolazioni ad avvalersi di questo strumento.
La scrittura non è sempre stata solo uno strumento necessario per condurre uno degli imperi più prosperi dell’antichità e un modo per comunicare. Per gli egizi, era molto di più.
Thot, il dio degli scribi
La mitologia dell’antico Egitto è tra le più complesse, misteriose e affascinanti, fatta di storie che si intrecciano l’una con l’altra, arrivando fino ai giorni nostri.
Tra le varie divinità presenti nel pantheon egizio, Thot era tra le più idolatrate e seguite, tanto che ricopriva ben più di un ruolo. Figlio del dio del sole Ra, era nato direttamente dalle labbra di Ra, quando ancora nulla esisteva. Secondo altre tradizioni, Thot era figlio di Horo, o addirittura c’era chi credeva si fosse autogenerato, dando vita all’uovo cosmico che in sé racchiudeva la creazione.
Era raffigurato come un ibis, oppure come un babbuino, e si diceva che fosse dio della luna, messaggero degli dei, patrono delle scienze, della saggezza e, soprattutto, della scrittura.
Il nome della mostra odierna, il Dono di Thot, deriva proprio dal fatto che fu Thot a donare agli antichi egizi la scrittura. Questo episodio venne riportato da Platone, filosofo greco, che nel suo dialogo Fedro narrò la vicenda.
Nell’immaginario di Platone, Socrate si trovò a raccontare di un dio dal nome Theut, a cui erano sacra l’uccello ibis, che decise un giorno di fare un dono agli uomini, vale a dire la scrittura. Quando un altro dio, presumibilmente Amon, gli domandò se davvero pensasse fosse un dono utile, Thot rispose in modo esemplare.
“Questa conoscenza, o re, renderà gli egizi più sapienti e più capaci di ricordare, perché con essa si è ritrovato il farmaco della memoria.”
Amon non parve convinto, sottolineando che in questo modo l’umanità avrebbe perso l’abitudine a ricordare. Questo si allacciava all’abitudine di Socrate che, fedele al suo pensiero, non lasciò nulla di scritto, e questo mito è potuto arrivare a noi grazie a Platone.
Di certo, in qualunque modo sia andata, oggi ringraziamo Thot per il suo dono.
L’importanza della scrittura
La parola scrittura, nell’antico Egitto, voleva dire parole del dio ed era rappresentata dal geroglifico di un bastone. In questo modo, era chiaro che la scrittura avrebbe rappresentato, da quel momento e per sempre, un concreto sostegno all’uomo.
La scrittura egizia è da sempre una delle più complicate da decifrare, poiché composta da simboli, segni determinativi e segni fonetici. Per lungo tempo è rimasta un mistero e, nell’antico Egitto, chi era stato benedetto dal dono di Thot occupava una posizione elevata.
Si parla degli scribi, che erano i detentori della comunicazione scritta e che, per la loro importanza, erano una casta esclusiva e vicina al faraone. A loro veniva affidata la memoria del regno, le storie da tramandare e le leggi necessarie ad amministrare l’impero.
Jean-François Champollion e il dono di Thot
A condividere con il resto del mondo il dono di Thot fu l’archeologo Jean-François Champollion, che visse tra il 1790 e il 1832, e che per primo riuscì a decifrare la Stele di Rosetta.
La Stele di Rosetta, vale a dire una stele egizia oggi conservata al British Museum, presenta tre differenti grafie sulla sua superficie, vale a dire geroglifici, demotico e greco antico. Le prime due altro non sono che due tipi di grafia egizia e, per molto tempo, nessuno fu in grado di comprenderne il significato.
Fino all’arrivo di Jean-François.
Da sempre considerato un bambino prodigio, ultimo di sette figli, si dice che il suo legame con l’Egitto sia stato chiaro fin dalla nascita, quando venne al mondo con occhi ambrati e carnagione scura, come se il deserto l’avesse partorito.
Il suo incontro con i geroglifici fu l’inizio di un amore che durò tutta la vita, al punto che decretò che avrebbe imparato il copto come la sua lingua madre. Decise di leggere la Description de l’Égypte, volume pubblicato nel 1803 da chi aveva partecipato alla spedizione di Napoleone in Egitto.
Innamorato dell’Egitto e della sua scrittura, Champollion fece il possibile per decifrarla, senza riuscirci. Nel 1821 venne allontanato dall’università, in disaccordo per idee politiche con i suoi colleghi, ma questo gli diede l’occasione per lavorare a pieno regime sui geroglifici e dedicarsi all’amore di una vita, l’Egitto.
Poi, il 14 settembre del 1822, disse di aver capito tutto… e svenne. L’emozione, forse.
La scoperta di Champollion si basava sul nome del faraone Tolomeo, e da lì aveva ricercato tutti i nomi dei faraoni. Da lì, aiutandosi con il greco della Stele, riuscì a trovare un metodo per decifrare la stele più importante del mondo.
Champollion sostenne che ogni geroglifico doveva essere interpretato. Ogni disegno poteva rappresentare un oggetto, oppure un gruppo di consonanti, o ancora poteva avere un significato differente, a seconda del contesto.
Non a caso, la lingua dell’antico Egitto rimane una delle più misteriose e complesse, tanto che Champollion vi dedicò ben dieci anni. Tutta la sua vita, fino alla morte, la passò fianco a fianco alla lingua dei faraoni.
Di certo, la mostra Il Dono di Thot è un evento imperdibile per ogni amante della scrittura e della sua storia.