Per quanto le persone siano sempre più sensibili al concetto della collettività rispetto al comportamento del singolo, come per la crisi climatica, il consumo di carne e altre tematiche che negli ultimi anni stanno risollevando alla coscienza collettiva, sembra quasi un racconto distopico quello che vede ancora oggi, nel 2023, una nuova proposta di legge in Italia contro l’aborto.
Ad aggravare il tutto c’è la necessaria precisazione che non si limita al singolo caso poiché sono ben quattro le iniziative antiabortiste che, in circa tre mesi, sono state presentate dai membri dall’attuale governo di Maggioranza.
E se si vuole approfondire, l’ultima proposta che in modo inevitabile mina la legge sull’aborto numero 194 del 1978 parte proprio da un uomo, Roberto Menia, in un governo che ha a capo una donna, la premier Giorgia Meloni.
L’aborto in Italia
Il diritto per una donna all’interruzione di gravidanza volontaria non è affatto storia vecchia. Abortire era ritenuto un reato dal codice penale, punito con una reclusione dai due a cinque anni, sia per la donna che per l’esecutore dell’aborto.
Questo clima di proibizionismo non ha limitato il numero di aborti, anzi. Crebbe il numero di operazioni illegali con gravi ripercussioni sulla salute delle donne che sceglievano di ricorrervi.
Dopo lunghe battaglie femministe grazie a un referendum abrogativo proposto dal Partito Radicale, nel 1978 arriva la legge 194.
Una legge a tutela delle donne, della loro salute e della libera scelta.
Questa legge, nel dettaglio, decreta che pur riconoscendo il diritto alla vita dell’embrione e del feto, l’interruzione di gravidanza per una donna è possibile e praticabile per difendere la sua salute psichica e fisica o, nel caso questa sia messa a rischio della gravidanza, dal parto o dalla maternità.
L’aborto oggi consente alle donne di poter ricorrere alla interruzione volontaria della gravidanza in una struttura sanitaria pubblica entro i primi 90 giorni. In questo caso l’aborto è ammesso sulla base di una autonoma valutazione della donna stessa. Invece l’aborto dopo i 90 giorni è ammesso solo nei casi in cui un medico certifichi che la gravidanza costituisce un grave pericolo per la vita della donna o per la sua salute fisica o psichica.
L’aborto in Italia e gli obiettori di coscienza
Nonostante la legge 194 sancisca il diritto delle donne all’interruzione di una gravidanza volontaria, oggi non è un qualcosa di così scontato e di facile accesso.
I numeri che lo confermano sono riportati dall’indagine “Mai Dati!”, che nel 2022 è stata presentata all’Associazione Luca Coscioni. Condotta su oltre 180 strutture da Sonia Montegiove, informatica e giornalista, e Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina, l’indagine ha evidenziato che in Italia sono 24 gli ospedali e 7 i consultori, per un totale di 21 strutture sanitarie, che al loro interno hanno il 100% di obiettori di coscienza tra infermieri, anestesisti, ginecologi, infermieri e Oss.
Sono 50 invece le strutture che calcolano all’interno una percentuale superiore al 90% e più di 80 quelle che hanno un numero di obiettori superiore all’80%.
Dati sconcertanti, se si tiene in conto di come queste posizioni da parte del personale sanitario possano andare a incidere sulla fruibilità di un servizio che è legittimato dalla Costituzione.
La proposta di legge contro l’aborto
L’ennesimo disegno di legge antiabortista è stato presentato da parte del senatore di Fratelli d’Italia Roberto Menia con una proposta che si basa sul riconoscere la soggettività giuridica agli embrioni a partire dal concepimento.
Lo scopo del ministro è quello di «dichiarare che ogni uomo ha la capacità giuridica in quanto uomo, cioè che la soggettività giuridica ha origine dal concepimento, non dalla nascita.
Un attacco subdolo alla legge 194 che ha scatenato diverse reazioni nelle altre fazioni politiche e nel popolo, che invece si dichiara a favore di questo diritto raggiunto con così tanta fatica negli anni Settanta.
Una dichiarazione, quella del ministro, che si propone a favore del riconoscimento di un diritto a un feto negandolo di fatto alla donna che lo porta dentro di sé.
Perché tutelare la legge 194
L’interruzione di gravidanza, quando questa non sia indispensabile alla sopravvivenza e alla salute di una donna, è una scelta. L’intoccabile volontà di persona che è libera di decidere del proprio corpo e del proprio futuro.
L’aborto, soprattutto, è qualcosa di delicato, quasi indescrivibile per chi non ha mai dovuto affrontare questa scelta. Una decisione che condiziona nel profondo la vita di una persona nell’aspetto psicologico e che è, prima di tutto, una decisione libera. Una scelta, non un obbligo o un’imposizione.
Una donna oggi deve affermare che può e deve poter scegliere se essere madre o meno, se volere nella sua vita un figlio. Affrontare questo ragionamento e la conseguente scelta non è mai qualcosa che avviene a cuor leggero; dimostra, sempre e comunque, un profondo rispetto della vita che si consegnerà al mondo.
Molto spesso l’interruzione di gravidanza è stato argomento di film, serie tv e libri, uno tra questi è sicuramente il capolavoro di Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato, del 1975. Un libro che, antecedente alla data di applicazione della legge 194, coinvolge ogni donna sulla questione della vita e della propria esistenza in rapporto a una gravidanza.
Viene spontaneo pensare che, forse, il punto di vista corretto e esplicitato nel libro è proprio questo, la consapevolezza.
Non si può ancora cercare di combattere quello che è sancito come un diritto con subdole accuse che si avvalgono di parole e suggestioni legate all’omicidio, perché alla fine dei conti è quello, il messaggio che si va delineare, riconoscendo la soggettività giuridica al feto come propone il disegno di legge.
Si incentiva in questo modo anche il senso di colpa e gli eventuali traumi psicologici di chi, purtroppo, ha subito un aborto spontaneo, un processo non voluto ma che è stato reso necessario e applicato dal corpo. Quello stesso corpo che ogni giorno una donna è costretta a difendere, ancora oggi, da abusi, violenza, stupri e ingiustizie sociali.
Perché, se si legge tra le righe, vietare la libera scelta di abortire e ancora un’ennesima forma di violenza.