La vita davanti a sé è un romanzo del 1975 scritto da Emile Ajar, pseudonimo di Romain Gary. Quarantacinque anni dopo, Edoardo Ponti e Sophia Loren riportano al cinema l’atto d’amore del giovane Momò per la sua Madame Rosa.
La vita davanti a sé, una storia dal sentore salvifico
Nel libro, pubblicato nel 2005 da Neri Pozza, siamo nella banlieu di Belleville, in Francia. Momò è un ragazzino alle soglie dell’adolescenza e cresce nel sobborgo parigino allevato da Madame Rosa. Lei, ebrea sopravvissuta all’Olocausto, la vita l’ha già fatta. Ormai da anni alleva i bambini delle prostitute in cambio di una piccola pigione. Tutti, tranne Momò, da cui la donna non vuole separarsi. Momò è giovane e con tutta la vita davanti a sé, ma la verità è che vuole esserci per Madame Rosa per lui è l’unica famiglia, nonostante gli acciacchi dell’anziana signora rendano problematica la convivenza insieme. Ad aiutarli, una vera e propria comunità multietnica che, all’occorrenza, sa farsi supporto e sostegno l’uno con l’altro soprattutto quand’è chiara la malattia della signora.
Nel film alcune cose sono diverse. La vita davanti a sé acquisisce un nuovo senso e le parole del titolo vengono interpretate con un sentore salvifico che si fa sempre più presente durante la visione. Siamo a Bari, ai giorni nostri. Madame Rosa è l’ultima spiaggia per Momò, un ragazzino problematico che il dottore Cohen non può più tenere con sé. La donna e il ragazzino, scontroso e con la tendenza alla malavita, devono imparare a conoscersi e a fidarsi l’uno dell’altra.
L’immensità figurativa di Madame Rosa all’interno del libro viene raccolta nella presenza di Sophia Loren, che porta sulla scena l’esperienza dei suoi anni e una magistrale interpretazione della paura davanti al serpeggiare della malattia e del nostro nemico più acerrimo: il tempo. Un po’ dolce e un po’ spietata, la Madame Rosa che Edoardo Ponti ha portato sullo schermo e diverso è anche Momò. L’ironia implacabile del ragazzino, che troviamo tra le pagine de La vita davanti a sé in un ininterrotto flusso di coscienza capace di strappare sorrisi amari, nel film acquisisce la durezza di chi ha eretto un muro per difendersi dal prossimo, l’asprezza di linguaggio che appartiene agli adulti disillusi e che atterrisce.
E dunque, la domanda cruciale: è meglio il libro o il film?
Due linguaggi diversi, quello letterario e quello filmico, per due modi diversi di denunciare lo stato delle cose, la vita degli ultimi.
Chi ha letto il libro non si aspetti di rivederlo in maniera particolare dentro il film, ma si aspettasse di ritrovarci tante altre cose: la finta ruvidezza di Madame Rosa, l’immaginazione fervida di Momò, la gentilezza di Lola e la saggezza di Hamil, l’abnegazione di Katz/Cohen. Sebbene trasformati per adattarsi a una vita che, in quarantacinque anni, è fin troppo cambiata, questi personaggi sono il cuore della storia e la mandano avanti quale che sia il supporto scelto per raccontare.
La vita davanti a sé, tra le pagine di un libro o in visione su Netflix, è una storia che parla d’amore, non dimentichiamolo.
Parla della disperazione che ti prende quando hai paura che, un domani, quell’amore non ci sia più. Parla dell’importanza del mantenere le promesse e avere cura delle paure ma, soprattutto, della famiglia che trovi quando credi di essere solo.