Ogni scrittore, o aspirante tale, dovrebbe mettere in conto che la scrittura è un atto collettivo. L’immagine romantica e solitaria dell’amanuense esiste, e resiste, sino a un certo punto. La scrittura è un atto collettivo che parte da un lavoro individuale, ma rivolto costantemente al futuro lettore.
C’è una sola cosa che si scrive solo per sé stesso, ed è la lista della spesa
La realtà è che, chi scrive, lo fa per essere letto. Occorre tenere sempre a mente questo semplice concetto: qualcuno leggerà ciò che è stato un tempo un elaborato intimo e strettamente personale. Se è pur vero che ci sono scritti che si tengono per sé, come segrete confessioni e audaci poesie, è vero altrettanto che esse rappresentano una minoranza. Lo scopo ultimo di un manoscritto è quello di diventare libro e di finire nelle mani di più persone possibili.
Il lavoro di redazione solitario e isolato è soltanto una fase; ciò che viene scritto arriverà, se il processo va a buon fine, nelle mani e sotto gli occhi di lettori che niente sanno dell’autore. Questo è importante, perché, come diceva un libraio con un po’ di spocchia e disillusione: “È inutile pubblicare per parenti e amici”. È il fine stesso dell’opera, quella di riuscire a comunicare un messaggio.

Se si può – e si vuole – scrivere solo per sé stessi non si è scrittori, ma solitari amici delle parole
La scrittura può essere terapeutica, una pratica valida per l’autoanalisi, una compagnia, un modo di dar forma a pensieri e ossessioni, può anche assimilarsi a un esercizio stilistico. Ma l’opera dello scrittore ha una valenza diversa e riguarda la sua condivisione e la sua fruibilità. Poche cose emozionano come leggere la recensione di un proprio romanzo, o indagare gli effetti che un libro ha generato in un lettore.
Si scrive per un pubblico – di conoscenti ed estranei – per mettersi a nudo, per ricercare un confronto e un’occasione di dibattere su un tema o un punto di vista.

Nella scrittura è fondamentale ricevere feedback
Questa esigenza è viva anche nell’arte culinaria. Chi organizza un pranzo e si diletta nella preparazione di particolari manicaretti, anche non essendo un cuoco professionista, trattiene a stento la fatidica domanda, aspettando che i commensali abbiano assaggiato un piatto: “Com’è? Ti piace?”.
Tra lo scrittore e il lettore deve poter scaturire un tacito accordo, il cosiddetto “patto narrativo”: il lettore accetta di sospendere momentaneamente la propria facoltà critica e di addentrarsi totalmente nella storia che legge. Nell’ambito di questo patto, il lettore considera come vera una storia che, se analizzata con occhio fermo e logico, risulterebbe impossibile.
Uno scambio reciproco tra scrittore e lettore
Per creare la sospensione dell’incredulità occorre che il lettore riceva qualcosa in cambio. Qualcosa che dia emozioni, che lo faccia essere parte attiva della storia, che gli scaturisca stupore, rabbia, gioia. La creazione di un rapporto confidenziale e illusoriamente unilaterale tra scrittore e lettore è alla base di qualsiasi progetto narrativo.