Portare in scena Salomè è una sfida. Wilde, Flaubert, Baudelaire, Strauss, Klimt, sono tanti I maestri che hanno arricchito la figura della principessa di Giudea ora su carta, ora in teatro o sulla tela di un quadro.
Anche il Collettivo Cenerentola ha dato la sua interpretazione della principessa di Giudea, per la regia di Francesco Lonano. In scena al Teatro Tram di Napoli fino al 4 dicembre 2022.
Salomè, una figura silente?
È interessante vedere come, nel corso del tempo, la figura di Salomè si sia affermata a partire dalle testimonianze scritte. Sebbene i Vangeli di Marco e Matteo parlino della triste sorte del Battista, è solo con Giuseppe Flavio che la sua carnefice ha un nome e un’identità.
Successivamente, nel tempo, questa figura ha acquisito sempre più spessore fino a incarnare il concetto di una seduzione fatale. Nel momento in cui si posano sull’oggetto del proprio desiderio, gli occhi di Salomè ne segnano la fine.
Nella pièce teatrale proposta dal Collettivo Cenerentola, per la regia di Francesco Lonano e l’interpretazione di Eleonora Cimafonte, Dario Guidi, Katia D’Ambrosio, Salomè si presenta in tutta l’autorità conferitale nel tempo dall’arte, con l’aggiunta di una fragilità che contribuisce a renderla reale. Non è senza nome, né silenziosa, né marionetta, ma determinata responsabile della sorte di chi le sta intorno.
Una forte passione per carni deboli
Salomè è bella e terribile come la luna, in grado di trasformare il suo volere in una marea capace di travolgere chi le sta accanto. È così per Narraboth, è così per Erode ed è così per il biblico profeta, mai presente sulla scena eppure esistente in ogni dettaglio.
Eppure, anche Salomè è vittima di se stessa. La passione che prova per il Battista è ciò che muove il suo volere e che condanna ogni suo male. Non è diversa da chi per lei vive e muore, e proprio questo spinge lo spettatore a fare più attenzione: al centro della rappresentazione non vi sono tanto i personaggi, quanto forze ben più forti dell’uomo.
L’irresistibile debolezza di Salomè
Salomè si mostra qui iniziale burattino, figura silenziosa ben adatta a fare da oggetto, sia del desiderio che delle elucubrazioni materne. È, quella della principessa, la fragilità tipica di chi sceglie le proprie battaglie, di chi si lascia dominare fin quando è comodo, fin quando non comprende ciò che realmente vuole.
Ci si può innamorare, di chi mostra il fianco con questo specifico tipo di candore, ma ciò comporta anche scontrarsi contro immensa determinazione quando si arriva, finalmente, al nocciolo duro e infrangibile.
Quindi sì, Salomè è oggetto ma è anche la propria stessa arma, è l’accetta al collo del Battista e la rovina del patrigno Erode. È colei che asseconda il volere della madre Erodiade, ma soltanto perché coincide con il suo.
Il peso incombente del destino
L’ineluttabilità della fine è un rullo di tamburo, pervade la scena come un altro personaggio invisibile, si manifesta in presagi che lo spettatore può soltanto immaginare. L’inquietudine passa su un filo che unisce la platea al palco, e ad assicurare questo passaggio perfetto sono i tre attori presenti, puntuali ed estremamente vivi in tutto ciò che fanno.
Che si conosca o meno la vicenda biblica di Salomè, vedere a teatro l’adattamento proposto dal Collettivo Cenerentola è un invito a riflettere sulla potenza dei propri desideri e la misura di ogni aspirazione.
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