La nascita della lingua italiana non ha una data precisa. Non esistono divisioni temporali nette tra lingue madri e lingue figlie. Ciò che esiste è un unico, lento, processo di trasformazione.
La nascita della lingua italiana e delle altre lingue romanze
Tutte le lingue romanze derivano dal latino. In Italia, più o meno dalla caduta dell’Impero Romano nel V secolo d.C., il latino è affiancato dal volgare. Usato solo nel parlato, il volgare è un latino “corrotto” che varia da regione a regione. Invece, il latino “dotto” vive nella letteratura e mantiene per secoli il ruolo di lingua franca per gli intellettuali europei.
Gradualmente, si inizia a scrivere anche in volgare. Si tratta di soddisfare esigenze notarili, commerciali, oppure religiose. Per tradizione, il primo documento scritto in volgare italiano si fa risalire al X secolo. Sono i Placiti di Capua. Questi testi riguardano la proprietà di alcune terre rivendicate da un’abbazia.
Bisogna aspettare il XIII secolo per la comparsa del volgare in letteratura. Per esempio, il Cantico delle creature, di San Francesco d’Assisi, è scritto in volgare umbro, condito con latinismi e gallicismi. Questi ultimi sono fondamentali nella prima importante scuola poetica della penisola: la Scuola siciliana.
I primi passi: amore e religione tra Scuola siciliana e Stilnovo
Il siciliano illustre di questi poeti si sipira al latino e alla lirica trobadorica. Tuttavia, ne abbandona le tematiche tipiche e si concentra sull’amor cortese. Questo codice poetico ha successo presso la corte dell’imperatore Federico II. Ma alla fine del dominio svevo nel meridione, la poesia promossa dai siciliani si “trasferisce” a nord. In Toscana, evolve e sposa temi politici e morali, oltre a quelli amorosi. Tra Bologna e Firenze nasce il cosiddetto stil novo.
Gli stilnovisti sono consapevoli della propria originalità. Prediligono una lingua dolce, piana e formale. Si basa sul fiorentino ed è povera di artifici retorici. La donna è completamente idealizzata. Diventa una figura angelica che fa da tramite tra Dio e l’uomo. Sarà soprattutto Dante ad insistere su questa idea e a concepire la donna e l’amore come strumenti di elevazione spirituale.
Le Tre Corone: Dante, Petrarca, Boccaccio
XIV secolo. Nella Divina Commedia, Dante dimostra la dignità letteraria del volgare. L’opera si distingue per l’incessante sperimentalismo linguistico. Infatti, Dante usa un linguaggio e uno stile specifici per ogni cantica. E in ogni cantica cambia spesso registro, adattandolo alle situazioni e ai personaggi. È la prima volta che un volgare (il fiorentino) viene utilizzato in chiave plurilinguistica e pluristilistica.
Petrarca lavora tutta la vita sul Canzoniere, per depurare il volgare da gallicismi e forme troppo colorite o espressive. Vuole creare una lingua poetica dalla forma chiarissima, perfetta, eterna. In questo senso, si tratta di una sorta di unilinguismo, opposto alle scelte di Dante nella Commedia.
Boccaccio, col Decameron, introduce una prosa viva e realistica. Essa riprende molte espressioni e deformazioni del parlato. Il volgare di riferimento è sempre il fiorentino, ma a volte si mescola con altri dialetti. Questa duttilità proviene non solo dalla lezione dantesca, ma anche dalla sintassi latina, di cui riprende molte strutture.
Grazie alle Tre Corone, nel XIV secolo la produzione in volgare conquista nuovi spazi: storiografia, medicina, religione. Ciononostante, nella prima metà del XV secolo il latino torna a farla da padrone. Questo per via dell’indebolimento di quei Comuni che avevano promosso l’uso colto del volgare. Nella seconda metà dello stesso secolo, le Signorie gli ridanno lustro, affermandosi come le nuove forze politiche, economiche e culturali. Infatti, esse cercano il consenso del mondo popolare, che non è affezionato al latino. Quindi, in tutta la penisola sboccia un plurilinguismo diviso tra toscano letterario, latino, volgari locali.
All’inizio del XVI secolo Pietro Bembo riporta la situazione all’ordine. Indica due soli modelli da seguire: Petrarca nella poesia e Boccaccio nella prosa. La scelta conosce grande fortuna e consenso.
La nascita della lingua italiana: il toscano diventa italiano
La normalizzazione della lingua si conclude all’inizio del XVII secolo. Il Dizionario dell’Accademia della Crusca riscatta la varietà del parlato vivo, ma riconosce l’importanza della letteratura del Trecento. Le età del Barocco e dell’Illuminismo vedono un’ondata di foriesterismi, dalla Spagna alla Francia, ma anche tentativi di modernizzazione, almeno in prosa.
Nel XIX secolo il Romanticismo promuove un avvicinamento della lettertura alla realtà. Perciò Manzoni riscrive I Promessi Sposi avendo in mente più il toscano parlato e attuale, che non l’italiano letterario. La scuola farà proprie le sue innovazioni solo con molta lentezza. Alcune resistenze provengono anche da grandi intellettuali, come Leopardi.
Infine, è nel XX secolo che le istituzioni e la scuola si impegnano a uniformare la lingua italiana in modo sistematico. Solo dal 1954 questo processo potrà dirsi avviato verso la sua vera conclusione. A quell’anno risale infatti l’avvento di una nuova, fantastica tecnologia. Che permette agli italiani di ogni fascia sociale di seguire un unico modello linguistico: la televisione.