Tra le serie tv thriller più viste delle ultime settimane spicca La mia prediletta, la serie Netflix tedesca ispirata al libro di Romy Hausmann
articolo di Daniela Piras
La storia prende spunto da una delle paure più recondite dell’uomo: quella di perdere la libertà. Di fatti di cronaca che parlano di reclusi in casa, a volte per anni, ne esistono a perdita di news. Sequestrati da mariti, genitori disturbati, fratelli-carcerieri e, a volte, perfetti estranei. Cosa può portare abbandono, mancanza di punti di riferimento nell’infanzia, assenza di empatia? La mia prediletta sembra rispondere a ognuna di queste domande, mettendo in scena una storia tutt’altro che fittizia.
La mia prediletta: un cast di tutto rispetto
Diretta da Isabel Kleefeld, la serie ha come protagonisti attori che appaiono scelti con cura, capaci di emanare inquietudine e tensione emotiva anche solo con lo sguardo. Naila Schuberth, che interpreta la piccola Hannah, è perfetta nel ruolo della “bambina grande”, come la definisce suo padre e come si autodefinisce con fierezza. Gli altri attori, escluso Sammy Schrein (il piccolo Jonathan, fratello di Hannah), hanno una grande capacità espressiva a tratti perturbante, dovuta proprio all’aspetto molto ordinario. Sono volti comuni di persone comuni che si ritrovano a scontrarsi con il dolore dell’esistenza: perdita, malattia, inesperienza, tradimento. Kim Riedle (Lena) è inafferrabile, sino all’ultima puntata. Vera chiave di volta della serie, in diverse scene ha la capacità di lasciare interdetto lo spettatore, che si trova a interrogarsi sul significato di quelle espressioni torve, di quel viso così poco “televisivo”.
La mia prediletta: una trama basic
La trama – o sarebbe uguale dire la cronaca – è piuttosto elementare: una donna viene tenuta prigioniera all’interno di un appartamento isolato e tetro. Insieme a lei, il suo aguzzino (interpretato dall’attore Christian Beermann) e due bambini figli di quel mondo sotterraneo: Hannah e Jonathan. Quella famiglia atipica possiede comunque un equilibro: i due bambini non hanno conosciuto altra vita se non quella e sembrano aver trovato il modo di convivere con regole ferree, premi e punizioni, giochi e ricorrenze, e una figura materna intercambiabile. Una notte Lena riesce a scappare, seguita da Hannah: finisce in un sentiero a ridosso del bosco, e resta coinvolta in un incidente. Finisce in ospedale, in coma. La piccola Hannah, attraverso racconti e immagini molto eloquenti, designa l’inquietante quadro della loro vita.
Lena: una, nessuna, centomila
Una volta che Lena – o colei che afferma di chiamarsi Lena – esce dal coma, si trova assediata da medici e polizia che interrogano lei e Hannah. Il suo ritrovamento fa pensare a tutti si tratti di Lena Beck, ragazza scomparsa 13 anni prima. Vengono riaperte le indagini, ma i signori Beck, arrivati in ospedale, sono sicuri nell’affermare che la donna ricoverata non è loro figlia. La falsa Lena è solo la copia dell’originale. Anzi, ancora peggio: è una delle copie dell’originale. Per azzardare un parallelismo biblico, Lena Beck è Eva, le altre Lena sono semplicemente “altre donne”. Non è lei, quindi, la prediletta, né dal suo aguzzino, né dai suoi figli adottivi. Scoprire che il suo vero nome sia Jasmin Grass non aiuta, poiché Jasmine è alla ricerca di un riscatto personale che va ben oltre il riappropriamento del suo nome.
Chi è, quindi, Lena? I sei episodi della serie ruotano attorno a questo enigma, lasciando aperti molti – forse troppi – interrogativi, anche una volta arrivati all’epilogo.
Daniela Piras