Festeggiamo oggi 203 anni dal primo vero dibattito etico sulla biotecnologia
L’11 marzo 1818, in Inghilterra, veniva pubblicato Frankenstein, in forma anonima. Subì duri attacchi dalla critica, a causa del tema trattato. Venne accusato per la discutibile condotta morale dei personaggi e per il fatto che i sentimenti del lettore venivano messi a dura prova dagli eventi narrati.
Il dottor Frankenstein è ormai un personaggio universalmente conosciuto, ampiamente presente e citato in letteratura, cinema e televisione. La creatura nata dai suoi esperimenti, a cui spesso viene erroneamente attribuito lo stesso nome del suo creatore, rimane un’icona di riferimento senza precedenti.
L’etica e la prospettiva
All’inizio del diciannovesimo secolo la paura dello sviluppo tecnologico permea ogni campo, e la prospettiva della manipolazione del corpo umano deve aver terrorizzato i lettori. Lo smembramento dei cadaveri e l’immagine dell’essere nato dal loro assemblaggio ha completamente messo in ombra il messaggio morale contenuto nel romanzo. È proprio lui, il mostro senza nome, che narrando la sua storia introduce il tema chiave di tutto l’impianto narrativo. Considerato senza anima, prova comunque dei sentimenti che vanno oltre la rabbia dettata dalla paura. Un essere venuto al mondo già adulto, deforme e reietto, senza prospettive, ricordi o emozioni condivise che possano guidarlo o fornirgli un qualsiasi parametro di comportamento sociale.
«L’accresciuta conoscenza non faceva che mostrarmi più chiaramente quale infelice fuori-casta io fossi. Accarezzavo delle speranze, è vero, ma svanivano non appena coglievo la mia immagine riflessa nell’acqua o la mia ombra nella luce della luna, per quanto fragile fosse l’immagine e inconsistente l’ombra.»
In nome del progresso vengono compiute azioni di ogni genere, ma non è possibile considerarle tutte lecite. È proprio qui che l’etica si palesa, fra l’orrore di un corpo mostruoso e la vita di un uomo che non può nemmeno considerarsi tale. Fino a dove può spingersi la ricerca?
La giovane Mary Shelley
Pochi anni dopo il romanzo esce in seconda edizione, grazie all’enorme successo attribuitogli dai lettori, in netto contrasto con quello della critica. Questa volta l’autrice si dichiara, fra lo sgomento generale. Una ragazza poco più che ventenne, autrice di uno dei testi più discussi di inizio secolo, movimenta salotti e parlamento. Il povero mostro, frutto degli esperimenti del dottor Frankenstein, viene paragonato all’insurrezione del proletariato industriale; Mary Shelley e il suo romanzo vengono indicati come esempio di ateismo nella propaganda dei Tories.
«Io ero solo. Ricordavo la supplica di Adamo al suo Creatore; ma dov’era il mio? Mi aveva abbandonato e, nell’amarezza del mio cuore, lo maledii.»
Ancora oggi ci chiediamo fino a dove sia lecito spingerci con la ricerca medica e la biotecnologia. La giovane Mary seppe affrontare questo delicato argomento con un secolo d’anticipo, portando l’unico argomento che va preso in considerazione: il valore della vita.