C’è una memoria che materializza i ricordi, in cui anche i luoghi del passato diventano ponti in cui ritornare. Lo è ad esempio l’isola di Lefkada nel libro “L’isola dei ricordi” di Massimo Pallottino, scrittore lucano che alla soglia dei sessant’anni si reinventa, con il suo primo romanzo memorialista. Dopo i suoi primi tre libri dal genere giallo ora pubblica un mémoir: L’isola dei ricordi accoglie l’introspezione e l’empatia dello scrittore, in una storia coinvolgente e intima che conquista.
Edito da Pequod edizioni, pubblicato nel 2021, il libro è la storia di Sofia ma anche quella di un luogo: l’isola greca da cui la ragazza a 18 anni fugge all’alba per inseguire un amore. Una fuga però a volte è anche un ritorno alla radice, il ricongiungimento con sé stessi. I luoghi, ne “L’isola dei ricordi” tracciano i confini tra la radice e il destino, come in un percorso di consapevolezza e rinascita.
Ne L’isola dei ricordi si ripetono incessanti “I ti ricordi?”, come un ago che tesse l’esistenza della protagonista, nella pena decisa e coinvolge di Massimo Pallottino, per tracciarne la più profonda personalità. Abbiamo intervistato lo scrittore, per scoprire insieme le sfumature del libro.
L’intervista a Massimo Pallottino, per L’isola dei ricordi
L’isola dei ricordi. Metaforicamente un viaggio regresso. Il passato è un ponte per far partire la storia? O è un punto di arrivo?
Il viaggio regresso, metaforicamente, è quello che compie il narratore (ad ogni modo un viaggio che rimane al di fuori della storia). Ed è lui stesso che ne parla nel preambolo del romanzo, menzionando l’esperienza dell’ipnosi regressiva, che lo ha spinto a recarsi a Lefkada. Il racconto di Sofia origina dal suo passato, che rappresenta quindi il punto di partenza per cominciare a vivere narrativamente la sua storia.
Nel libro il punto di vista femminile è predominante: sia la protagonista in sé Sofia, sia il rapporto materno che ha con il figlio Yannis. Com’è stato, da scrittore uomo, impersonare, interpretare e creare questa voce?
In quanto autore è stato piuttosto complicato entrare nel personaggio di Sofia e raccontare la storia attraverso il suo sguardo. Ritengo, e parlo almeno per me, che non sia affatto semplice creare e interpretare una voce non propria, quantomeno perché la psicologia femminile è infinitamente diversa da quella maschile, sebbene attraverso gli artifici della narrazione un autore riesca comunque a superare qualsiasi ostacolo…
Questo libro ha un genere diverso dai tuoi precedenti testi, prevalentemente gialli e polizieschi. Come mai e com’è stato l’approccio con questo nuovo genere?
Ciò che mi ha spinto ad allontanarmi dalla crime fiction è stato essenzialmente un bisogno di sperimentazione, di avventurarmi in territori inesplorati. Del resto un autore che non scrive gialli o polizieschi è affrancato dal dover osservare tutte quelle regole rigide che sono proprie del genere, e già considerando questo aspetto ho pensato che tentare la via della narrativa non di genere fosse una sfida molto stimolante, come in effetti poi si è rivelata. Per quanto concerne poi l’approccio è stato del tutto diverso, poiché un romanzo giallo ne richiede uno più ragionato e funzionale alla sua stessa natura, laddove con il mio ultimo romanzo, come pure con il precedente “Nell’anno della sindrome di Rhee” mi sono preso una totale libertà di costruzione della storia.
La voce narrante nel libro L’isola dei ricordi è quasi messa in disparte. È una scelta di stile o è voluto per dare maggiore risalto alla storia?
La voce narrante nel libro infatti è quasi messa in disparte, e questo è frutto di una mia scelta, poiché ritengo che il narratore debba mantenere una posizione defilata rispetto alla vicenda che narra. A parlare devono essere i personaggi, le loro voci, e questo anche per dare maggiore risalto alla storia.
Si potrebbe definire questo libro un “romanzo della memoria”: qual è il rapporto con il ricordo?
I miei due ultimi romanzi sono incentrati sul tema del ricordo, che in un certo senso tiene in piedi tutta la narrazione. Il ricordo per me è anche scoperta di cose della vita che solo attraverso di esso possono riemergere e acquistare luce. Il destino di Sofia infatti si compie nel momento stesso in cui lei si orienta nella vita grazie alla luce dei suoi ricordi. “Le cose si scoprono attraverso i ricordi che se ne hanno” dice Pavese. E posso solo dire che il mio rapporto col ricordo è illuminante.