La personalità forte e spregiudicata ha fatto di Alice Prin, alias Kiki de Montparnasse, un’icona dei ruggenti anni Venti parigini. Il compositore Andrea Mannucci e lo scrittore Marco Ongaro hanno dato vita a un’entusiasmante opera lirica a lei dedicata. Abbiamo incontrato il librettista per conoscere questo coraggioso progetto artistico in scena per la prima volta in Italia al Conservatorio Guido Cantelli di Novara il 20 settembre 2021.
La spregiudicatezza è la forza di Kiki. Una donna nutrita dalla voglia di sopravvivere e dalla gioia di farlo in un mondo ricco di amici che cantano, dipingono, fotografano e scrivono.
Chi è Kiki e che cosa ha a che fare con Marco Ongaro?
Kiki de Montparnasse, al secolo Alice Prin, è un personaggio esistito e reale nella Parigi degli Anni Folli. Ma per me come autore non è che un pretesto allegorico. L’ho scelta per parlare della donna, della bellezza e dell’arte, dell’amore come Musa e dell’artista come benefattore del mondo. I dettagli strettamente biografici sono importanti per non offendere il ricordo di una persona esistita, ma sono irrilevanti per il messaggio simbolico che il corpo-Kiki ha cominciato a rappresentare fin dalla prima vendita di un suo ritratto nudo al Salon d’Automne nel 1922. Lì è divenuta icona, e come tale l’ho trattata.
Diciamo che sono un altro degli artisti che Kiki ha ispirato con la sua bella libertà. La spregiudicatezza è la vera forza di Kiki. Una spregiudicatezza talvolta timida, che non le impedisce di truccarsi le ciglia coi fiammiferi bruciati o tingersi il pube per mostrare di avere qualche pelo in più. Una timidezza spregiudicata che non le impedisce di sopravvivere a due guerre, di essere eroina proprio in virtù della sua abitudine a infrangere le regole. La spregiudicatezza è la sua forza, e viene nutrita dalla gioia di vivere, dalla voglia di sopravvivere e di farlo in un mondo più gradevole, ricco di amici che cantano, dipingono, fotografano e scrivono.
Vivendo gli ultimi vent’anni tra Verona e Parigi, mi è venuto naturale proporre questo modello al compositore Andrea Mannucci, che ne ha raccolto lo stimolo, come sempre superando le aspettative. La tessitura di rimandi musicali nella sua partitura è talmente inerente all’epoca trattata da farne un’opera contemporanea di perfetta aderenza tra libretto e musica.
Quali sono le maggiori difficoltà nel creare un’opera lirica e nel proporla, oggi, al pubblico?
La prima è l’ambito del debutto, la produzione. Non trattandosi di un genere popolare com’era invece nell’Ottocento, si agisce in una nicchia di appassionati e ricercatori in cui è difficile trovare investitori, e gli artisti hanno bisogno di investitori. Con la compagnia Opéra de Poche che ho contattato a Parigi nel 2006 si è creata una buona collaborazione, che poi ha dato vita anche all’opera tragica Moro, nel 2011. Entrambe hanno debuttato a Parigi. Ma è stato più il frutto di coincidenze che il favore di un mercato imprenditoriale strutturato sulla musica contemporanea, che in effetti mercato non ha.
Nondimeno, eroi come Andrea Mannucci di cui mi fregio di essere lo storico librettista, insistono nel cercare evoluzioni della musica seria che possano trovare un senso artistico nel nostro tempo.
Il senso vero del teatro musicale contemporaneo, a mio parere, è quello di offrire uno strumento compositivo adatto alla rappresentazione di drammi e tragedie contemporanee, come la morte di Aldo Moro o la biografia di Kiki, che senza toccare il lato frivolo del musical moderno possano esprimere in modo attuale l’essenza eterna della natura umana.
Proporla non è facile, soprattutto se non si gode di predilezioni da parte di enti pubblici, in quanto battitori liberi, artisti che creano per la bellezza e per il piacere di diffonderla. Ma è appassionante vedere come qualche volta l’opera si fa strada.
Qual è il “cuore” dell’opera, l’emozione, il sentimento o il messaggio che speri di trasmettere a chi avrà la fortuna di poter assistere allo spettacolo?
Kiki, incoronata Regina di Montparnasse alla Coupole, aveva rischiato di diventare una prostituta e invece è divenuta una modella, artista lei stessa, attrice in film surrealisti, immagine mito delle foto di Man Ray, amica di Jean Cocteau, ritratta da Modigliani e ammirata da Ernest Hemingway. Nella sua immagine c’è tutta la forza creativa dell’arte, la dimensione sublime della bellezza, la giustificazione delle difficoltà che un artista incontra nella vita, che le riesca a superare o meno. La scelta di creare e vivere nella creazione invece di abbandonarsi alla distruzione o alla rassegnazione: questo è il sentimento che anima l’opera. A che serve vivere se non si punta a realizzare se stessi anche a rischio di fallire?
È un omaggio alla famiglia degli artisti, alle loro debolezze, alle loro potenziali vittorie. Senza Kiki e i suoi amici oggi Parigi avrebbe molte meno attrattive. L’artista migliora il mondo.
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