Vincitore del Premio Campiello nel 2019, nella sezione Giovani, è stato inserito dal magazine “D” di Repubblica fra i 25 under 25 più promettenti al mondo
Matteo Porru esordisce nel 2017, a soli sedici anni, con The Mission (edizioni La Zattera). Licia Colò ha affermato che “il suo punto di forza sia, oltre alla preparazione decisamente superiore alla media, la capacità di sapersi adattare alle situazioni”. Gli abbiamo chiesto di parlarci del suo ultimo romanzo, Madre ombra, ma anche dell’esperienza del Premio Campiello.
Matteo si descrive così, con una biografia originale ironica: Matteo Porru, vent’anni, fratello maggiore, figlio, nipote, migliore amico, conoscente, un tizio a caso. Attaccante a biliardino. Pilota di Boeing 737 al simulatore. Vivrebbe di pasta alla norma e di pollo alle mandorle. Parla tanto ma quando scrive vuole silenzio. Tombale.
C’era una volta un deserto lontano e gente taciturna e sola, che neanche sapeva di vivere. E un altro mondo, colorato e meraviglioso, vivace e socievole. Due universi che mai avrebbero potuto scontrarsi, se non per amore.
(Da Talismani, racconto vincitore del Premio Campiello, sezione Giovani)
Ciao Matteo, innanzitutto ti ringrazio per la tua disponibilità, visto il periodo carico d’impegni. Il tuo ultimo libro si intitola Madre ombra e ha come protagonista una ragazza cieca, Lara Diotalevi. Orfana cresciuta dalle suore della carità, Lara si trova ad affrontare la vita e a scoprire se stessa una volta raggiunta la maggiore età. A cosa ti sei ispirato per scriverlo?
A tante cose, e pure troppe, che da riassumere non sono facili, ma ci provo. Il romanzo è costruito su due grandi cardini: il mito della caverna di Platone, che fa da leitmotiv alla storia e alla vita di Lara e che è, ora lo posso dire, il motivo per il quale all’università ho scelto di studiare Philosophy e non lettere; e la poesia di Eugenio Montale, soprattutto gli ultimi lavori e “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale” su tutti. In Madre ombra c’è anche tanto del me ragazzo figlio di madre veneziana, che Venezia la conosce a menadito e in particolare d’inverno, quando la città è buia e fa paura. Io e Lara diventiamo maggiorenni insieme (lei a ventuno negli anni Sessanta, io a diciotto negli anni Duemila) ma siamo tutt’altro che due gocce d’acqua. Le ho dato molte cose che detesto (anche di me) e gli strumenti per correggerle, anche se lei non li ha usati tutti. In un certo senso, è stato un personaggio che mi ha fatto male: Lara è fragile e cinica, egoista e manipolatrice, nonostante la malattia che, di solito, fa passare le persone per buone. In Madre ombra c’è il male e c’è l’amore, in tutte le sfumature e le accezioni. C’è la cecità, che per Lara è “il buio dentro” e le accende la testa e la fantasia. C’è Dio, nella crescita della ragazza dalle suore e nella coscienza che lei sviluppa. E c’è, in tutta la sua potenza, la maternità. Madre ombra è una storia che sviscera l’affetto e dà volume all’odio. E al dolore.

Cosa ha significato vincere la sezione Giovani del Premio Campiello? Ha cambiato il tuo modo di approcciarti alla scrittura? E, se sì, come?
Ogni tanto mi devo ricordare che l’ho vinto due anni fa, perché nella mia testa sembra ieri. Di quei giorni ricordo tutto, come fosse un film che ho girato io. Il Campiello Giovani, retorica a parte, è il perfetto caso di punto di arrivo e di partenza: riconosce che sei decollato bene ma volare, e salire di quota, alla fine sta a te. Di fatto, però, c’è stato tanto lavoro per accendere i motori e staccarsi da terra. Senza La Zattera e senza i miei editor, senza i libri amati (e odiati) e senza le storie mai scritte, ma soprattutto senza mio fratello, che è la cosa più bella che ho avuto dalla vita, non ce l’avrei mai fatta. No, vincere il premio non ha cambiato la mia scrittura. Anzi, l’ha rinforzata. E ha rinforzato anche il mio modo di cogliere i dettagli della gente e della vita, che è e rimane, per me, la più grande fonte di ispirazione in assoluto. La letteratura non è altro che un lungo e bellissimo elenco delle vite degli altri. Leggendo le vite degli altri, cerchiamo di leggere la nostra. Scrivendo le vite degli altri, scriviamo anche la nostra. Sempre.
So che hai diversi progetti a cui stai lavorando, e dei quali hai – per ora – soltanto accennato sui social. Puoi svelarmi qualcosa di più?
Ancora no. Ma sono tanti, tantissimi. Ti posso dire che, per il primo, bisogna aspettare l’estate. E che è stata la più grande sfida che io abbia mai accettato da autore.