“Quello che non sai“, Fazi Editore, è una storia complessa e commovente, che, grazie alla scrittura fluida ed emozionante di Susy Galluzzo, cattura il lettore fin dalle prime pagine e ci fa riflettere sulla maternità e sulle aspettative che abbiamo nei confronti degli altri.
Una storia che svela un passato tortuoso
Quando la tredicenne Ilaria rischia di essere investita da un automobilista poco accorto, sua madre Ella rimane a guardarla impietrita, senza riuscire a fare nulla per avvertirla del pericolo. La ragazzina se ne accorge e, da quel momento, il loro rapporto, già fragile e complicato in parte a causa del disturbo ossessivo compulsivo di cui Ilaria soffre, si incrina in maniera definitiva. Ella, in preda allo sconforto, decide quindi di intrattenere un dialogo univoco con la propria madre, mancata quindici anni prima.
Grazie al tentativo di riconnettersi alla persona dalla quale si è sentita più amata, Ella si ritrova a fare i conti con le sue più recondite paure e le apprensioni nei confronti di una figlia con la quale non ha saputo ricreare un rapporto unico e indissolubile, come quello che la legava a sua madre. Ripercorrendo la storia della propria maternità e del rapporto con il marito Aurelio, esaminandoli nelle loro molteplici sfaccettature, Ella sviscera gli avvenimenti del suo passato tortuoso, fino a svelare il terribile segreto che ha cambiato la sua vita in maniera radicale.

L’intervista a Susy Galluzzo
Susy Galluzzo, grazie per averci concesso questa intervista. “Quello che non sai” è il diario del crollo delle certezze della vita della protagonista, Ella, e della profonda analisi del suo lato più oscuro, ma è anche la cronaca di una rinascita. Da dove è venuta l’idea di trattare queste tematiche così complesse e delicate?
Nasce da una serie di confessioni raccolte da amiche, colleghe e a volte semplici conoscenti. Ho ascoltato i loro sfoghi di madre, le loro fatiche quotidiane, il loro tormento nel non sentirsi sufficientemente all’altezza o presenti per il più grande amore della loro vita. Nasce anche dalla necessità di elaborare un lutto, la perdita di mia madre, ecco perché la forma del diario.
Abbiamo già parlato della consuetudine di attribuire ruoli ben definiti alle persone che fanno parte della vita di ciascuno di noi con Maria Grazia Calandrone, nel nostro articolo dedicato al romanzo candidato allo Strega “Splendi come vita“. Si tratta di un libro che, come il tuo, tratta alcuni degli aspetti più complessi della maternità. Tu cosa ne pensi in merito?
Ho sempre ammirato chi, al contrario di me, è riuscita a conciliare maternità e professione. Ho sempre visto le mie colleghe come meravigliose equilibriste, affaccendate in contesti spesso ostili e privi di supporti.
La necessità di analizzarsi ed esaminare se stessa
Dal tuo testo emergono specifiche conoscenze in ambito chirurgico. Anche le ossessioni e le compulsioni dei bambini vengono descritte con estrema cura e perizia: come hai assimilato tutte queste nozioni?
Ho avuto la fortuna di avere il supporto di eccellenti professionisti che mi hanno aiutato a dare “profondità” e a non cadere nel banale. Domenico Mazzullo, psichiatra, mi ha incoraggiato moltissimo nella stesura, pensando alle sue tante pazienti che si sono tormentate per il loro lato materno “oscuro”. La psicoterapeuta Antonella Montano, grazie ai suoi scritti, mi ha aiutato a descrivere il problema dei disturbi ossessivo compulsivi nei bambini che tante difficoltà, imbarazzi e paure causano nella loro crescita. Lucia Tedesco, infine, cardiochirurga come la mia protagonista, ha ideato la scena “chiave” dell’intervento della madre di Ella, momento di svolta del romanzo. Senza di lei non sarei mai riuscita a terminarlo.
Pensi che, anche se il tuo romanzo racconta una storia ben definita, possa essere di spunto per ogni donna che senta la necessità di analizzarsi e esaminare se stessa nel rapporto con i propri figli?
Sto ricevendo dei messaggi stupendi che rispondono affermativamente a questa domanda. Madri che dicono di sentirsi “comprese”, incoraggiate a svelare le proprie debolezze e pronte a chiedere aiuto e anche a solidarizzare tra di loro.

Un personaggio che svela le sue sfaccettature
Nella tua narrazione, non porti mai il lettore in una posizione giudicante nei confronti della protagonista del libro, anche quando svela le sua azioni più inconfessabili. Quali sono stati gli accorgimenti che ti hanno permesso di riuscire in questo difficile intento?
Dopo aver creato il personaggio di Ella, imparato a conoscerla, l’ho lasciata “libera”. E’ strano da dire, ma è come se, a un certo punto, abbia cominciato a muoversi per conto suo, ad usare effettivamente quel diario alla madre morta come uno spazio tutto suo. Ho lasciato fluire la scrittura, l’ho lasciata andare.
Anche se è sempre di Ella la voce narrante della vicenda, la stessa viene analizzata in continuazione da diversi punti di vista, quasi fosse considerata da più persone. Come mai questa scelta originale e al contempo intrigante?
Ella è una narratrice inaffidabile. Devastata dai sensi di colpa, confessa alla madre una “sua” verità, dipingendo un mondo in cui tutti sono suoi avversari e lei è l’unica vittima. Ma, man mano, comincia a tradirsi, a svelare le sue nevrosi, la sua mania di controllo, il suo volersi giustificare continuamente. Ho voluto che il lettore lo scoprisse pian piano, e conoscesse pagina dopo pagina tutte le sfaccettature di questo personaggio così complesso.
Qual è stata la cosa più emozionante che ti è accaduta dopo la pubblicazione del romanzo?
Il messaggio con cui una mia lettrice mi ha detto che leggendo il mio romanzo si era riconciliata con se stessa, accettando quella parte del suo cuore che a volte inciampa e prova sentimenti di ostilità verso la propria figlia.
Clara Zennaro
