Lo scrittore cinese, le cui opere sono proibite nel suo paese di origine, racconta di un burocrate di provincia in cerca del controllo sui sogni dei cittadini
Dal 2012, Ma Jian è un esule. Abita a Londra e il suo nome, in Cina, non può essere citato nei libri di letteratura, nelle antologie scolastiche, nemmeno sui giornali: la politica del presidente cinese Xi Jinping nei riguardi dei dissidenti si è fatta più rigida che in passato. Proprio da un’affermazione di Jinping, che alcuni anni fa menzionò il suo grande “sogno cinese di ringiovanimento nazionale”, prende ispirazione Il sogno cinese, romanzo breve in cui Ma Jian mette in scena una fittizia provincia, appunto cinese, la cui classe politica locale (dal più alto dirigente al più piccolo burocrate) lavora per controllare l’ultimo spiraglio di libertà rimasto al popolo: i sogni. Protagonista del romanzo è Ma Daode, nientemeno che il direttore dell’Agenzia del Sogno cinese.
«Registreremo, classificheremo i sogni di ogni individuo, e cominceremo a lavorare a un impianto neuronale chiamato Dispositivo del Sogno cinese, che sostituirà tutti i sogni individuali con il Sogno cinese collettivo. Nel frattempo, dobbiamo rafforzare il controllo della pubblica opinione online e delle piattaforme dei social per poter dare risposte pubbliche corrette ai problemi quotidiani.»
Ma Daode, protagonista de Il sogno cinese
Una distopia molto vicina alla realtà
L’universo umano che circonda Ma Daode è un circolo vizioso di infedeltà, corruzione, ipocrisia, cinismo, rassegnazione, insomma un campionario variegato di tutte le più estreme conseguenze dei meccanismi dittatoriali: si lavora per compiacere il Paese e chi lo governa, si eliminano le voci di dissenso in cerca di un’armonia totale. L’identità del singolo si perde in questo magma: Ma Daode ha una moglie e diverse amanti, si barcamena nella sua doppia-tripla-quadrupla vita e nel frattempo mantiene la facciata dell’integerrimo funzionario di partito. Ma nessun individuo può completamente rinunciare al suo sé più profondo: proprio in Ma Daode si risvegliano sogni e ricordi che lui per primo vorrebbe scacciare, e questo complica quello che doveva essere semplicemente il suo lavoro.
Il sogno cinese parte come un romanzo satirico, una sorta di 1984 asiatico (e infatti si apre con una dedica a George Orwell), poi assume sempre più i connotati della distopia fantascientifica ma non appariscente, con qualche sfumatura spirituale e riferimenti a guerriglie urbane e scontri tra fazioni ideologicamente rivali (che richiamano piazza Tienanmen, uno degli argomenti tabù del regime cinese). La falsità in cui è immersa l’esistenza del protagonista lo conduce verso l’epilogo con una naturalezza che trova la sua controparte formale nella scrittura lineare di Ma Jian, priva di barocchismi o ricerche da virtuoso: il senso di spontaneità e nitore linguistico stride con le atmosfere in cui la storia è immersa e le rende ancora più inquietanti.