Scritto per commemorare il cinquantennio della strage di piazza Fontana, Il rumore del silenzio è una pièce destabilizzante che merita di girare ancora per i teatri, perché riporta alla dimensione umana del dolore un evento troppo spesso ricordato solo come politico. In replica al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 18 dicembre.

La rappresentazione
Lo spettatore entra in sala e sul palco, a sipario aperto, c’è un orologio illuminato, con le lancette ferme sulle 16.37. Un brivido passa lungo la schiena, lo stesso che si rinnova davanti all’orologio del tutto simile e immobile fuori dalla stazione di Bologna. Questa immagine, nella mente di chiunque, rievoca le stragi. E quella di piazza Fontana è stata proprio questo, una strage politica, con 17 vittime (+ 1) e 88 feriti.
Nel corso della rappresentazione, Renato Sarti si rievoca diciassettenne, presta la sua voce alla Storia e mostra le foto dei morti, ne racconta in poche parole le vite, interrotte quel 12 dicembre 1969. Moltissime di quelle persone erano sopravvissute alle due guerre mondiali o ai lager; tutti erano lì perché lavoratori agricoli, che di venerdì spesso si trovavano nella Banca Nazionale dell’Agricoltura per concludere affari tra loro o vedersi, parlare e tenersi aggiornati.
Attraverso una narrazione ritmata e chiarissima, viene presentata un’Italia dove l’impegno sociale e politico aveva una dimensione diversa da quella odierna, dove le abitudini erano una certezza su cui poter fare affidamento.
Il rumore del silenzio
Sarti, attore e regista, racconta i fatti per cenni ed evoca immagini – con l’aiuto di pochi e quotidiani oggetti che creano una scenografia in divenire – il momento della strage e i giorni successivi, ridando vita alla memoria dei personaggi e dei familiari sopravvissuti, donne e bambini, soprattutto. Protagonisti diventano quindi i cari delle vittime, presenti sul palco tramite poche e povere cose: la cintura della divisa da alpino, il pacchetto di sigarette Nazionali e la macchina da scrivere azzurra.
Poi, le bandiere: quella tricolore, presa dalle bare ai funerali in piazza Duomo e gettata a terra, e quella nera e rossa che invece accompagna l’anarchico idealista solo in seguito riabilitato.
«Avevo una sensazione strana: eravamo pigiati come sardine eppure mi sentivo solo. Osservavo i volti: sembravano scolpiti. […] Ricordo il silenzio… No, il rumore del silenzio.»
Renato Sarti

La diciottesima vittima
In parallelo ai monologhi di Sarti si dipanano quelli di Laura Curino, che in una spiazzante narrazione alla seconda persona singolare interpreta Licia Rognini, la moglie del capro espiatorio designato, ovvero l’anarchico Pino Pinelli, quello che si presentava come: «Io sono Pinelli, sono anarchico. E tu?»
La sobrietà di una donna forte, rimasta vedova giovane, con due figlie piccole e in una maniera del tutto ingiusta. Lei presenta la perseveranza della lotta, la tenacia nell’esigere una giustizia che non avrà mai. Insieme a questo, tuttavia, con gli occhi lucidi e la voce rotta, racconta di come sia dovuta diventare mille cose nella sua vita, ma da allora non sia mai più stata solo se stessa.
Il presidente Napolitano nel 2009 ha riconosciuto Pinelli come la diciottesima vittima della strage. L’uomo che, indicato inizialmente come colpevole della strage, morì cadendo da una finestra del quarto piano della Questura. Il nome di un innocente riabilitato conta moltissimo, ma il copione del dramma invita ad andare oltre e, attraverso le parole della vedova, afferma che né lui né le altre vittime avranno mai giustizia, perché nel corso degli infiniti processi nessun colpevole è stato individuato.
Il rumore del silenzio, finalista al Premio Riccione per il Teatro
Il rumore del silenzio ha partecipato alla cinquantacinquesima edizione del Premio Riccione per il Teatro e si è candidato tra i finalisti con la seguente motivazione:
«Una bella prova di narrazione costruita con grande sapienza drammaturgica, passione civile e capacità di indagare e restituire la dimensione tragica delle vite “normali” di uomini e donne travolte dalla strage di Piazza Fontana. […] La loro quotidianità, i diversi percorsi di vita, i legami familiari, la casualità che diventa destino. Eccoli, i “protagonisti” di una storia che non avrebbero voluto e dovuto vivere. Eccoli i piccoli, grandi gesti di dolore, il progressivo svelarsi dell’accaduto, la faticosa e incessante ricerca della verità […] restituisce alle vittime la parola sulla propria storia, sulla storia che il testo si impegna a raccontare.»
Giuria del 55° Premio Riccione per il Teatro

Preservare la memoria
Le vedove, al primo processo, chiesero giustizia, chiesero qualcuno “da poter perdonare”. Ebbero solo burocrazia, tribunali lontani da Milano, promesse e null’altro.
I sopravvissuti chiedevano allo Stato un aiuto per vincere la paura che attanagliò tutti negli anni successivi, pieni di vittime, attentati, sangue e ingiustizie. Perché ai morti sopravvivono sempre i loro cari e, se si parla di attentati e stragi di innocenti, l’immediatezza e l’ingiustizia di quelle morte segna i superstiti, esseri umani la cui sfera personale si stravolge in modo insensato e irreversibile.
È questo che fa capire lo spettacolo, proprio come il teatro fa per vocazione. In ogni rappresentazione, tratti essa di personaggi immaginari o reali, si parte dall’umanità, dai sentimenti, dalla vita per spiegare la vita. Questo e ogni altro spettacolo, quindi, si assumono la responsabilità di preservare e trasmettere la memoria storica delle vite, dei nomi e dei volti delle vittime.
Serve solo a onorare chi non c’è più? No. Serve a perpetuare la conoscenza di quel che è stato, perché non si ripetano gli stessi errori.
testo e regia Renato Sarti
interpreti Laura Curino e Renato Sarti
disegni Ugo Pierri e Giulio Peranzoni
video installazione Fabio Bettonica
musiche originali Carlo Boccadorono