Ci sono momenti in cui un articolo non è abbastanza. In questi momenti così profondi di connessione tra donne e paure in essere, pubblicare per intero il testo del monologo tenuto da Chiara Francini all’Ariston durante la quarta giornata del Festival di Sanremo 2023, è quasi un obbligo morale.

Chiara Francini a Sanremo 2023
Bella, luminosa, necessaria. Ha scelto il palco dei palchi per portare a galla la fragilità che ogni donna cela dietro le decisioni importanti, ribadendo mai troppo una verità: ci sono condizioni implicite nel sesso con cui sei nata.
Per te che non sai se vorrai essere madre oggi, domani o mai. Per te che senti di volere un figlio ma la paura ti blocca e il tempo ti opprime. Per te che sei donna, generatrice di ogni bellezza e contraddizione, ecco le parole di Chiara Francini a Sanremo di cui poi, se vorrai, potrai leggere il commento.
Il testo integrale del monologo di Chiara Francini al Festival di Sanremo
Arriva un momento della vita in cui è chiaro che sei diventato grande: quando hai un figlio.
Ora, io, Chiara, un figlio non ce l’ho, però credo sia una cosa dopo la quale non c’è dubbio non potrai più essere più giovane come lo eri a sedici anni, col motorino, la discoteca e il liceo. E arriva un momento, nella vita, in cui tutti intorno a te cominciano a figliare. È una valanga.

Ma… inizia sempre da una che, lo sapevi, sarebbe diventata mamma prima di tutti. Nel mio caso, la Lucia.
C’è stato un giorno, qualche anno dopo il liceo, che la Lucia mi aveva chiesto di vederci. Era pomeriggio, eravamo al bar della piscina, lei era tutta emozionata (e io anche un pochino perplessa di tutto questo entusiamo). Stava lì, e non diceva nulla. E poi a un certo punto, con una faccia che non le avevo mai visto mi fa: “Oddio, finalmente te lo posso dire: finalmente sono incinta!”
Incinta. Quando qualcuno ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata, non sai mai che faccia fare.
Quando qualcuna ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata c’è come qualcosa che ti esplode dentro, cuna specie buco in mezzo agli organi vitali. Ementre accade tutto questo, tu devi festeggiare, perché la gente incinta è violenta e vuole soltanto essere festeggiata. E non c’è spazio per il tuo dolore, per la tua solitudine. Tu devi festeggiare. Come l’albero di Natale che tengo nel mio salotto, un albero di Natale sempre acceso, un albero di Natale completamente insensato che continua ad accendere le sue lucine, anche a luglio, fuori tempo massimo. Una festa continua senza nessuna natività. E io ho festeggiato.

“Ma dai Lucia, ma è stupendo!”
E poi, non sapere più che cosa dire. E quello era soltanto l’inizio, perché di lì a poco mi pareva che tutti intorno a me avessero avuto, stessero avendo, avrebbero avuto un figlio.
Passeggini, passeggini ovunque.
Un esercito di donne coi capelli corti e di maschi stempiati con la panza che spingono passeggini con dentro neonati mostruosi e pieni di amore.
E io.
E io…
E io che continuavo a fare le mie cose sempre meglio, con sempre più persone che mi guardavano e mi amavano… E poi. E poi a un certo punto io mi sono accorta che se non mi sbrigavo io, forse, un figlio non ce lo avrei mai avuto. E che anche se mi sbrigavo, poi, non era mica detto. Perché anche quando ti decidi poi, magari, il corpo ti fa il dito medio e tu, allora tu pensi di aver aspettato troppo, di essere una fallita.
La parte più difficile di fare un figlio è immaginarselo. Immaginarsi come sarà.
E se poi fa delle cose che io non condivido? E se viene troppo diverso da me? Nel mio caso certo che verrà diverso da me!
Ma io… vorrei sapere come faccio con te, bambino? Ancora non sei nato, ancora non so neanche se riesco a farti nascere che già non ci capiamo?
Allora io te lo dico, eh, che avere una mamma come me ti creerà soltanto un sacco problemi. Io so e quasi spero che se sarai maschio sarai gay e t’amerò senza una fine. Però forse preferirei non lo fossi, perché per te sarà più difficile e io vorrei che per te fosse facile.

Ti prego vienimi su brillante, con la battuta pronta. Odia, odia. Odia ciò che si deve odiare. Odia l’ingiusto, odia il male perché è soltanto con quell’odio che si fanno le cose. Non è vero che si fanno con l’amore. Sì, con l’amore si fanno delle cose, ma il grosso si fa con quell’odio lì. Profondo, viscerale, instancabile. Ti prego, non essere una di quelle creature indifese, troppo buone perché sennò dovrei passare tutta la vita a difenderti e c’è il caso che tu venga una creatura poco capace di guardare, poco capace di camminare. Io vorrei fare come mia madre che non mi ha mai preso nel suo lettone. Piangerai nel tuo letto. Spero di avere la forza di lasciarti piangere. Non devo essere debole.
Ma lo vedi come parlo? Sembra che tutto dipenda da me, come se tu non esistessi ancor prima di esistere.
Io da qualche parte penso di essere una donna di merda perché non so cucinare, perché non mi sono sposata e perché non ho avuto figli. Io lo so che razionalmente non è così, però… c’è questa voce, esiste, e io, alla fine, penso che abbia ragione lei, che io sia sbagliata.
E io già lo so, bambino, tu mi porterai via tutta la creatività, tutta la luce. Ci sarai solo tu al centro della scena e io sarò una semplice comparsa e poi diventerò grande e poi vecchia e non potrò più fare finta che il tempo non stia passando, perché ci sarai tu, a ricordarmi in ogni momento che la mia gioventù sarà finita e io penso che mi farai così felice, che poi non mi farai mai così felice, perché è così che vanno le cose della vita: non sono mai come te le eri aspettate.

E io ti aspetto e ti desidero così tanto che sarai per forza una delusione.
Ma come parlo? Ma che mamma sono? No, ancora non sono una mamma.
Ma quanto m’è costato diventare come sono? E quanto costerà a te?
E in mezzo a tutto questo bisogno di arrivare, in mezzo a questo amore, a questa vita, io penso che non so più dove metterti. O, forse, sei tu che non vuoi venire da me, perché pensi che io mi sia dimenticata di te, che io mi sia dimenticata della vita.
Ma io volevo solo essere brava, io volevo soltanto essere preparata, io volevo soltanto che tu fossi fiero di me. Anche se ancora non ci sei. Forse, perché ci sei sempre stato.