Il carnevale della Barbagia rievoca antichi rituali propiziatori legati al ciclo delle stagioni e al mondo degli inferi
Il carnevale festeggiato nei paesi della Barbagia, in Sardegna, affascina per la sua storia e per le sue maschere antropomorfe. Quali sono la sua storia e il suo significato? Ne abbiamo parlato con il dott. Paolo Piquereddu, esperto del tema ed ex direttore del Museo Etnografico della città di Nuoro.
Quando si pensa al carnevale lo si associa a maschere, colori, feste e allegria. Ma in Barbagia il carnevale è un’altra cosa: pochi colori, scene che rievocano riti ancestrali e maschere antropomorfe che inquietano. Cosa contraddistingue il carnevale barbaricino e qual è il suo significato?
Il Carnevale in Barbagia, come i carnevali di ogni parte del mondo, rimanda alla struttura economica e sociale del territorio. I carnevali urbani rappresentano le città nelle quali si svolgono; i carnevali delle zone agropastorali rappresentano l’assetto dell’organizzazione sociale della produzione economica del territorio. In Barbagia le attività economiche prevalenti erano quelle agropastorali; le maschere ripropongono, con le modalità proprie del carnevale, questi elementi: animali e uomini impegnati in una rappresentazione ironica delle realtà, che per un breve periodo, come in un tempo sospeso, può essere rovesciata.
Quali sono le maschere che ritiene più interessanti dal punto di vista storico e dell’impatto scenico?
Metterei al primo posto quelle di Mamoiada (Mamuthones e Issohadores) e subito dopo i Boes e i Merdules di Ottana.
Il corteo dei Mamuthones e degli Issohadores può essere interpretato come l’esito contemporaneo di un rituale propiziatorio in occasione della morte della natura, propria della stagione invernale. La visita di esseri provenienti dal mondo sotterraneo viene attesa e ben accolta, con l’offerta di vino e dolci, al fine di propiziare la rinascita primaverile. Dopo la loro apparizione nel paese, questi esseri ritorneranno nel mondo degli “inferi” e potranno intercedere positivamente e favorire la rinascita delle terra a primavera. È questa un’interpretazione che ricollega le maschere di Mamoiada ai rituali propiziatori diffusi fin da epoca antica in tutta l’Europa. Ma anche le maschere di Ottana possono essere ricondotte a uno dei temi classici del Carnevale, quello del “mondo alla rovescia”: nel periodo del carnevale, tutto ciò che non è concesso o non è possibile nel resto dell’anno è concesso ed è invece possibile: i poveri diventano ricchi, gli uomini donne, i giovani vecchi e viceversa.
Qual è la realtà che viene rovesciata nel mondo dei contadini e dei pastori di Ottana? Quella della fatica quotidiana con gli animali, dei quali i contadini/bovari sono nello stesso tempo padroni e schiavi, per la necessità di accudirli e governarli senza interruzioni ed ecco che, nel carnevale di Ottana, gli uomini diventano animali e gli animali diventano uomini, in una sorta di autoironica rappresentazione della vita quotidiana, cui si ritornerà inesorabilmente dopo il martedì grasso.
A Ottana è presente un’unica maschera femminile che accompagna i cortei, è la figura de Sa Filonzana. Può spiegarci il suo significato e dirci perché è così particolare?
Sa Filonzana , così come altre maschere simili presenti nei carnevali della Sardegna, viene interpretata come una rappresentazione della morte; il filo di lana che pende dalla rocca tenuta in mano insieme a un paio di cesoie costituisce un monito e ricorda la caducità della vita umana, che può interrompersi con la stessa facilità con la quale la cesoia taglia il filo di lana. Non a caso, di norma, la filonzana appariva solo l’ultimo giorno di carnevale, a ridosso dunque del mercoledì delle ceneri e del rito del “memento mori”.
Che origini vanta il carnevale barbaricino e quali sono i motivi che gli hanno permesso di preservarsi ancora oggi?
Le origini sono da ricondurre, come prima accennato, ai rituali delle antiche società agricole e pastorali coincidenti con la morte della natura; essi comprendevano le varie manifestazioni dei primi di novembre, con le questue de Su Mortu Mortu , su Peti Cocone, Halloween, etc. Quelle di fine anno come Sa Candelarìa di Orgosolo, per arrivare fino al carnevale: questue rituali e rappresentazioni mascherate che segnalano la visita di esseri alieni/morti/abitanti il mondo ctonio nel mondo dei vivi.
La persistenza nel mondo contemporaneo può essere attribuita a numerosi fattori, tra i principali vedo:
– il perpetuarsi fino alla metà del secolo scorso di sistemi sociali e produttivi basati su agricoltura e pastorizia tradizionali;
– la progressiva acquisizione da parte di queste manifestazioni di una connotazione identitaria, specialmente a seguito della grande trasformazione antropologica avviatasi negli anni Sessanta del Novecento, che ha coinciso con la trasformazione dell’assetto economico e sociale;
– la nascita di un interesse dell’industria turistica nei confronti di queste manifestazioni; in particolare Mamoiada ha saputo creare attorno al suo carnevale una grande attenzione favorita dalla creazione di un museo delle maschere e di una serie di attività connesse quali l’artigianato delle maschere, dalla valorizzazione dei dolci tradizionali e della produzione vinicola, e in generale da una grande capacità imprenditoriale nel settore dell’ospitalità.
C’è qualcosa di cui è venuto a sapere durante i suoi studi che vorrebbe condividere con il maggior numero possibile di persone?
Sì: la nostra appartenenza a una comune matrice culturale, quella del mondo mediterraneo ed europeo; le nostre maschere e i nostri carnevali, e in generale le nostre tradizioni popolari, non sono arrivate da Marte ma, pur nella loro originalità di forme e modalità organizzative, fanno parte di un patrimonio che affonda le sue radici nella storia dei popoli del Mediterraneo e dell’Europa; questo non toglie nulla all’importanza delle nostre tradizioni ma, al contrario, abbandonata l’inutile ricerca dell’unicità e dell’esclusività, le immette quale parte attiva e significativa nel vasto orizzonte storico-culturale europeo e mediterraneo.