In Italia su Prime Video, la pellicola affronta con ironia e cinismo il tema dei tutori legali per gli anziani, grazie a un personaggio femminile abile e spregiudicato
La protagonista di I Care a Lot, film uscito pochi giorni fa su Netflix dopo il suo debutto al Toronto Film Festival dello scorso settembre, si chiama Marla Grayson ed è (brillantemente) interpretata da Rosamund Pike.
Ora, Marla Grayson è cattiva.
È intelligente, determinata e ambiziosa, e incidentalmente è una bella donna, ma soprattutto è cattiva. Ha qualche giustificazione, per un animo così malvagio? Non particolarmente, no. Viene folgorata sulla via di Damasco durante la storia, il suo è un percorso di redenzione? No. Nasconde un segreto che la riscatta, per esempio è un’infiltrata dell’FBI che si finge una poco di buono per indagare su crimini federali? No. Marla Grayson è semplicemente cattiva.
Eppure intorno a una protagonista assolutamente detestabile ruota un film intero, nel quale lo spettatore è preso per mano dal regista J Blakeson in modo da odiare Marla e poi, inspiegabilmente, temere per lei, e addirittura, dopo aver scoperto che in un singolo, specifico caso perfino lei ha un cuore (grande), fare il tifo per lei; a costo di ritenere quasi sacrificabile il personaggio a cui in un primo momento ci si era affezionati, quello interpretato da Dianne Wiest.
Una storia dominata dai personaggi negativi
Infatti il film, che all’inizio sembra parlarci di un tipico torto da raddrizzare, prende poi una piega diversa e si concentra sul contrasto fra due personaggi disposti a tutto per ottenere quello che vogliono: la posta in gioco sale in continuazione ma non ha mai nulla a che vedere con il giusto e lo sbagliato, piuttosto tratta il tema dell’ambizione e dei compromessi a cui si è disposti a scendere per seguirla. Sullo sfondo, il discusso tema della tutela legale degli anziani, che negli Stati Uniti, secondo quanto afferma il Guardian, coinvolge qualcosa come 1.300.000 persone, i cui tutori (scelti dagli organi giudiziari competenti) amministrano un patrimonio complessivo di 50 miliardi di dollari, non sempre con equità e trasparenza. La storia ha un bel ritmo e invoglia a proseguire la visione di evento in evento (fatte salve un paio di coincidenze un po’ forzate); da segnalare anche la presenza nel cast del bravo Peter Dinklage (il Tyrion del Trono di Spade), il cui personaggio contribuisce a tenere alta la tensione e allo sviluppo di un finale inaspettato.
Rimane comunque il ruolo di Marla a far funzionare l’intero film, che le è praticamente cucito addosso ed è valsa una candidatura ai Golden Globe per Rosamund Pike. Il monologo finale è da brividi:
Perché Marla Grayson è cattiva.