Il cosiddetto “fenomeno graphic novel” si è imposto nei primi anni Duemila. Riguardava in particolar modo certi volumi di comics americani (da cui il termine anglofono), non adatti alla distribuzione da edicola. Fu come aprire una diga: nemmeno vent’anni dopo, le graphic novel italiane sono una presenza stabile e importante in libreria.
Il classico “fumetto d’autore”, precursore delle odierne graphic novel
In realtà, anni prima, i romanzi a fumetti erano già stati presenti in libreria, però mica si chiamavano graphic novel. Si chiamavano “fumetti” e basta, “storie a fumetti” magari, o, volendo puntare sulla componente culturale e artistica, “fumetti d’autore”. La scuola fumettistica italiana ne vantava tanti, eccellenze assolute, specie negli anni Sessanta e Settanta. Queste opere spesso e volentieri venivano pubblicate a puntate su riviste invece che direttamente in volume, ma avevano una coerenza interna che le rendeva veri e propri romanzi.
Se quindi volete risalire alle origini delle graphic novel italiane, andate a ripescare i classici: Una ballata del mare salato di Hugo Pratt, le storie di Giuseppe Bergman di Milo Manara, la saga di Valentina di Guido Crepax, i polizieschi con protagonista il Sam Pezzo di Vittorio Giardino. Ma anche le storie irriverenti di Zanardi firmate Andrea Pazienza, oppure Il Collezionista di Sergio Toppi. Tutte opere che ora sono pubblicate in volumi di pregio, graphic novel appunto.
Graphic novel italiane dalle genesi ibride
Il fumetto d’autore subisce una battuta d’arresto negli anni Ottanta e Novanta. Non è che non ci sia più, ma lo scenario culturale è cambiato e riviste storiche, come L’Eternauta, Il Grifo, Comic Art, Il Male, AlterLinus e molte altre, hanno chiuso oppure arrancano. In libreria, non esiste quasi mai un reparto fumetti. È però il periodo in cui il confine tra graphic novel e fumetto seriale si assottiglia, un fenomeno incentivato dal progressivo innalzamento di qualità del fumetto da edicola. Chi può dire, ad esempio, che un’opera come Dylan Dog, sebbene distribuita a episodi mensili, non abbia la dignità di una serie di romanzi autoriali? Insomma la graphic novel italiana forse era uscita dalla porta, ma stava rientrando dalla finestra grazie alle raccolte in volume, a speciali albi “fuori serie” e a ristampe di lusso dei personaggi seriali più noti.
Una dignità pienamente riconosciuta
Finché non si è spalancato un portone. Timidamente all’inizio, per esempio con gli autori che facevano capo all’iniziativa Mondo Naif della Kappa Edizioni (gente come Davide Toffolo, Vanna Vinci, Giovanni Mattioli, Sara Colaone, Paolo Bacilieri), poi con maggiore energia. Adesso, le graphic novel italiane arrivano con regolarità sugli scaffali. Basta un sguardo per trovare i volumi intimisti di Gipi, le storie pungenti di Zerocalcare, il tratto delicato di Manuele Fior, lo stile inconfondibile di Lorenzo Mattotti. Oppure l’umorismo amaro di Leo Ortolani, la sincerità disarmante di Fumettibrutti, l’ironia di Silvia Ziche, le trame intense di Teresa Radice e Stefano Turconi. E molti altri: è sufficiente entrare in libreria e cercare il reparto fumetti che oggi, grazie al cielo, esiste eccome.