Giovanna Cinieri è una delle autrici selezionate al Premio Calvino. Il Premio Calvino è di certo il concorso italiano per gli autori esordienti più noto e prestigioso. Fondato a Torino nel 1985, nasce dalla voglia dei collaboratori e amici del letterato (Norberto Bobbio, Natalia Ginzburg, Lalla Romano, Cesare Segre, Massimo Mila e altri) di raccogliere la sua eredità, portando avanti il ruolo di talent-scout che il grande scrittore svolgeva per Einaudi. I bandi del concorso infatti si rivolgono solo a esordienti e inediti, creando un ponte tra loro, i lettori e le case editrici.
Di recente, oltre ai romanzi di narrativa, il Calvino si è aperto ai racconti. Si sta svolgendo infatti la terza edizione della CALL PER AUTORI ESORDIENTI DI NARRATIVA BREVE. In collaborazione con L’Indice dei Libri del Mese e il Mufant (Museo del fantastico e della fantascienza di Torino), quest’anno la rassegna ha lanciato il tema “Oltre il velo del reale”, dove “ogni genere di fantastico come macchina per vedere è ben accetto: dal fantasy all’horror, dal gotico al distopico, dal fantascientifico all’onirico, dal perturbante alla favola…”
La partecipazione è stata ampia: 875 sono gli incipit pervenuti. Dai 36 selezionati sarà scelta una rosa di 10 finalisti, infine 2 vincitori, il primo a cura di una giuria tecnica, il secondo votato dal pubblico sul sito dell’Indice. La premiazione si svolgerà in diretta sulla pagina Facebook del Premio Calvino giovedì 29 aprile alle ore 18.30. Nel frattempo, Other Souls ha intervistato una dei 36 autori selezionati, la scrittrice Giovanna Cineri.
La scrittrice Giovanni Cinieri
Giovanna Cinieri è nata a Taranto, a 17 anni si è trasferita a Bologna dove ha studiato Accademia di Belle Arti, scenografia. Ha scritto per un quotidiano e per il web, ha proseguito la ricerca fotografica degli anni universitari. Ha scelto di tornare a vivere nella sua città. Scrive racconti e poesie, si sta formando come editor. Alcuni suoi scritti sono stati pubblicati o usciranno su Narrandom, Salmace, Risme, e rivista Blam. Da bambina scriveva le storie che avrebbe voluto leggere, e da allora non ha più smesso.
Intervista all’autrice Giovanna Cinieri, per scoprire l’essenza del suo racconto
Come si chiama il racconto, quando è stato scritto, c’è un aneddoto legato alla scelta del titolo?
Il racconto si chiama “Brava bambina“, l’ho scritto in una sera fredda di questa primavera, partendo dall’incipit e da una prima stesura, con la ferma idea di proiettare una parte della nostra cultura patriarcale (e le sue conseguenze) in un futuro prossimo distopico. Da qui il titolo, che allude a un vecchio concetto secondo il quale una donna socialmente accettata deve essere stata prima una brava bambina.
Quali sono state le circostanze che hanno portato alla sua stesura?
La partecipazione alla call per racconti del Premio Calvino, che quest’anno si apriva ai temi del fantastico e del distopico, mi ha offerto la possibilità di sperimentare materie a me care – il femminile, le sue parti oscure e potenti e le loro collocazione nello spazio di un’epoca rispetto a quanto vissuto finora. Il tutto in una visione proiettata al futuro. Mi sono chiesta: cosa succederebbe, fra cinquanta, cento anni, se invece di superare quelle che oggi sono le disparità di genere, queste ultime fossero utilizzate per normalizzare sempre di più il controllo di una società maschile sulle donne?
C’è una componente autobiografica di Giovanna Cinieri che predomina/si nasconde nella storia?
In questo caso non ci sono note autobiografiche precise, piuttosto spunti che ogni donna potrebbe aver vissuto: quando avevamo cinque o sei anni, e volevamo starcene sedute stravaccate, e qualcuno ci ha detto di stare sedute composte, con le gambe chiuse, di non ridere sguaiatamente, di essere obbedienti e di andare oltre il nostro piccolo spirito critico, anziché ampliarlo. Quante volte ognuna di noi è stata invitata a essere una brava bambina e a sentirsi gratificata da questo?
Un messaggio al femminile, al di là della morale
Al di là di una morale, questa storia cerca di connettersi al lettore per trasmettere quale messaggio?
La natura delle donne non può essere racchiusa nelle aspettative esterne di guida e di comando, pena vivere una vita che è più un sonno senza sogni.
Ha incontrato delle resistenze, anche di natura personale, nella scrittura del racconto, se sì ci spieghi quali e perché?
L’unica resistenza, cercare di contenere il numero delle battute: ma è una scuola bellissima la sintesi, ti obbliga a comprendere cosa davvero occorre alla tua storia, quali parole servono alle immagini che vuoi creare.
Ci sono tematiche sociali che si intrecciano nella trama del racconto? Le va di parlarcene?
Ho immaginato un Paese che offrisse a ogni nucleo familiare la possibilità di far addormentare a tempo indeterminato le femmine che non dovessero rispondere ai canoni (già esistenti oggi) di utilità sociale ed emotiva, fuori e dentro la casa patriarcale. Un lancio nel tempo di temi ben conosciuti e perennemente attuali.
Quanto crede sia importante l’apporto letterario e artistico per sostenere e affrontare tematiche sociali?
Fondamentale. Si tratta di un apporto che attraverso la narrazione compie la denuncia già all’interno dell’atto artistico. Poi la trasmuta, e di ogni tematica può farne altro. Letteratura e arte più in generale solo nutrimento per ogni società di ogni epoca: in questo momento così difficile abbiamo un governo che decide per un popolo a digiuno di arte, e così facendo abbassa il livello di capacità di critica e analisi di quanto avviene attorno, quando dovrebbe avvenire l’esatto opposto.
Tutte le arti aiutano a capire il mondo, senza di esse il mondo diviene un posto dove ci si sbrana a vicenda senza comprendere che non siamo nati per questo, e che il destino si cambia anche con il diritto all’istruzione. C’è poesia nel lavorare la terra, c’è poesia nelle scelte non obbligate, ma per comprendere la nostra storia e il patrimonio che essa sta perdendo, occorrono sussidi alle aree della cultura e della scuola, e sostegni a teatri, musei, biblioteche (potremmo andare avanti all’infinito).
Ambizioni, progetti e riconoscimenti
Qual è la meta che spera di raggiungere, se c’è?
Lavorare serenamente come editor nel mio studio, continuare a scrivere: poter vivere del mio lavoro che è questo.
Scrivere è un percorso innanzitutto emotivo, quali sono stati i momenti più intensi legati alla scrittura dei suoi libri, e perché?
Tutta la scrittura mi lega a lei. Ogni momento fa parte di quel percorso non solo emotivo, ma fisico, spirituale, medianico mi ripeto spesso.
Crede che la letteratura oggi stia subendo una trasformazione? Se sì in che ambito.
È un discorso complesso, piccoli passi verso un approccio diverso alla letteratura vengono fatti ogni giorno ma occorre essere addentrati in un sistema, occorre conoscerlo e prenderne parte: da lettrice, solo così ho potuto incontrare bellissime perle di scrittura. Andando a cercare come un minatore nella grotta. Ma ci sono piccole realtà che hanno preso vita proprio negli ultimi anni, producendo materiale letterario prezioso, case editrici che creano libri d’arte, non solo di scrittura, progetti editoriali specifici per poesie e racconti, riviste online e cartacee che sono diventate fucine di idee. Non tutto, non dovunque, ma esistono. La scena letteraria c’è. E per me non è fatta dai soliti nomi conosciuti che escono con titoli già di successo, ma da chi attraverso il valore della propria scrittura non può essere nient’altro che autentico.
Qual è il valore che assegna all’impegno e quale quello che assegna alla sua passione per la scrittura?
L’importanza dell’impegno è totale. È lavoro. C’è chi considera la scrittura un passatempo, una terapia, e fa bene. Ma per me deve essere disciplinata da orari che ne arginino la perdita, da impegno e devozione. Il trasporto e il talento si smarriscono se non sono guidati dalla forza di volontà, una forza anche accondiscendente ai momenti di ispirazione, ma che deve comunque lavorare al servizio della scrittura, non il contrario.