La Giornata mondiale della Cannabis ha radici fin dagli anni Settanta. La sigla “420”, o “4:20”, veniva indicata per ricordare la giornata mondiale per la marijuana.
L’espressione si rifà all’ora in cui, nel 1971, 5 liceali californiani si ritrovavano per fumare l’erba, recuperando il fumo nascosto nei giardini della scuola. Questo fatto acquisì lo status di leggenda metropolitana grazie alla rivista High Times che nei primi anni ’90 lo rilanciò.
Da allora, in tutto il mondo, il 20 aprile (negli USA il mese viene prima del giorno) si tengono eventi per la cannabis libera.

Giornata Mondiale della Cannabis: perché è importante parlarne
Oggi, in Italia, il dibattito sulla liberalizzazione della cannabis è sulla bocca (è proprio il caso di dirlo) di tutti: filosofi e politici ma anche magistrati e saggisti come Nicola Gratteri, il quale ha espresso diverse volte pubblicamente contrarietà alla sua legalizzazione.
Qualche mese fa, durante una puntata di Piazza Pulita, su La7, Gratteri, intervistato dal giornalista Corrado Formigli, ha invitato il conduttore ad andare in una comunità terapeutica per parlare con i tossicodipendenti. Una volta sul posto, secondo il procuratore di Catanzaro, avrebbe ottenuto la risposta chiara dai diretti interessati: un “No” secco.
Quello che sembra essere il perno di un attuale dibattito, frutto di un’evoluzione del concetto stesso di terapia – ovvero ricorrere ai derivati della cannabis – appartiene in realtà a un passato estremamente lontano. Il ricorso alla marijuana per uso medico è stato approvato in Italia già da diversi anni ma il dibattimento in quest’ambito continua a essere animato da controversie.
La cannabis al centro di polemiche infinite
Viene da chiedersi perché, se una terapia è stata approvata da tempo, ci si ritrova periodicamente a dibatterne sia dentro che fuori le sedi preposte. Perché la cannabis non sempre è disponibile, e questo porta le persone che ne usufruiscono, e ne riconoscono l’indubbia efficacia nel trattamento del dolore, a stare male, in una sorta di astinenza forzata alla quale vedono aggiungere al dolore fisico anche una condanna morale da parte di chi li addita come comuni “tossicodipendenti” e/o “drogati”.
A far chiarezza non sono certo i politici e i loro botta e risposta su Twitter. Recente è quello fra la segretaria del Pd (all’epoca dei fatti non ancora eletta), Elly Schleine e Matteo Salvini, segretario della Lega e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Priorità della sinistra più tasse e più canne, ha scritto il leghista nel mese di gennaio, accusando l’esponente PD. La deputata dem ha postato: Legalizzazione sottrae terreno alla criminalità organizzata. La confusione regna sovrana proprio a causa dell’accostamento continuo tra l’uso della cannabis a scopi ricreativi e quello, invece, a uso terapeutico. Quando poi ci si mette in mezzo anche il mercato della criminalità organizzata si raggiunge l’apice del caos.
I veri protagonisti del dibattito sulla cannabis
Quello che potrebbe essere uno dei tanti fattori di scontro tra due fazioni avverse, restando confinato su un piano politico, si estende invece a tutta la comunità di chi trova sollievo solo nella cura legata alla cannabis, avendo già sperimentato senza trarne altrettanto giovamento altri farmaci dall’origine meno discussa.
Legalmente, infatti, il ricorso alla marijuana per uso terapeutico può avvenire soltanto sotto prescrizione medica e nel solo caso in cui i trattamenti convenzionali non diano risultati soddisfacenti o non si rivelino più sufficienti a controllare i sintomi causati dalle patologie arrecanti dolore cronico.
La marijuana per uso terapeutico trova impiego, ad esempio, nell’alleviare il dolore cronico provocato da lesioni al midollo spinale o da patologie quali la sclerosi multipla e la SLA. La non certezza della continuità terapeutica ha fatto sì che chi si trova costretto ad affrontare tale problema abbia scelto di unirsi, allo scopo di ottenere maggior risonanza possibile.
Nasce così il “Comitato Pazienti Cannabis Medica”, con sede a S. Alessio Siculo (ME). Non si tratta di pionieri di una nuova frontiera della medicina: combattono per avere qualcosa che fino al 1936 veniva dato, sottoforma di olio, come cura per qualsiasi cosa, persino per il mal di testa.

I motivi della demonizzazione della cannabis
Come mai si è arrivati alla demonizzazione della cannabis e alla narrazione contemporanea nella quale la si associa irrimediabilmente alla tossicodipendenza? Le ragioni sono tante, e per scoprirle occorre fare una ricerca approfondita.
Oggi, nella Giornata mondiale della Cannabis, possiamo solo ricordare che la coltivazione della pianta della cannabis, unica pianta al mondo che può essere utilizzata allo stesso tempo come droga e come fibra, risale ad almeno 10.000 anni fa.
Nel corso della storia la cannabis è stata utilizzata per scopi medici, spirituali, religiosi o ricreativi (tramite inalazione o vaporizzazione) da almeno 5.000 anni. Diversi documenti ne testimoniano la presenza in varie parti del globo. Nel Nuovo Continente, la coltivazione della cannabis è stata massiccia per secoli. Oltre all’utilizzo nella tessitura se ne conoscevano anche le potenzialità ludiche.

Due istituzioni hanno provato a impedirne la diffusione e l’utilizzo: la Chiesa e lo Stato. Già nel 1484 una bolla papale ne vietò l’uso ai fedeli. Nonostante la condanna della Chiesa, l’utilizzo della cannabis a scopo ricreativo divenne una vera e propria moda tra gli intellettuali. Oggi come ieri, i due pilastri del potere, quello politico e quello spirituale, costituiscono le voci più potenti sulla questione cannabis.
Del resto, per certi versi si è andati avanti solo sulla carta. Se si pensa che nel 2023 si dibatte ancora se sia opportuno o meno che una maestra elementare reciti le preghiere in classe, e se la stessa viene difesa a spada tratta dai politici, non si è lontani da capire come mai i due capisaldi della società vadano a braccetto.
Utile potrebbe essere, come spesso accade, la lettura, anche di romanzi come l’ultimo di Andrea De Carlo. C’è bisogno di conoscere, comprendere e di attivare la capacità critica. In caso contrario, il rischio è di esprimere pareri che non vanno oltre il pollice alzato o inverso. E poi di affidare tutto all’IA.