“Dopo tanti anni in cui il mondo mi ha concesso molte esperienze, ciò che so con maggiore certezza sulla moralità e sul dovere lo devo al calcio”
Albert Camus, 1957
È questa la frase citata nella quarta di copertina dell’ultimo romanzo di Giorgio Bernard, “Come un’onda che si tuffa sullo scoglio”, che racconta la vita sportiva di Roberto Tancredi, talentuoso portiere della Juventus negli anni Settanta.
Giorgio Bernard e il suo l’incontro
Giorgio Bernard e il suo figlioletto Gianluca sono in vacanza a Rosignano. L’appartamento affittato si è allagato e, nel recarsi presso l’agenzia immobiliare di riferimento, capitano nel bel mezzo di un acquazzone. I due trovano riparo in un locale: ad accoglierli un gentile e riservato barista. Gianluca, grande appassionato di calcio, subito nota le numerose foto appese a una delle pareti vicino al bancone. Quando il barista si rivela essere Roberto Tancredi, il vecchio portiere della Juventus, padre e figlio si perdono insieme a lui nella fitta trama dei ricordi. Ripercorrono la carriera calcistica ricca di avvenimenti, dalla formazione nel Solvay Rosignano, all’esordio nella Juventus, fino al suo incarico da direttore sportivo del Livorno.
Abbiamo fatto qualche domanda a Roberto Tancredi, il protagonista di questa avvincente storia, e a Giorgio Bernard, il suo autore. Signor Tancredi, complimenti per la sua carriera e grazie per aver accettato di partecipare a questa intervista.
Roberto Tancredi: le domande
Dalle sue memorie si delinea un mondo del calcio molto diverso da quello che siamo abituati a vedere oggi. Qual è l’aspetto del passato che lei rimpiange maggiormente?
Principalmente la mentalità, soprattutto quella dei giocatori. I miei compagni e avversari erano totalmente concentrati sulla vittoria del gruppo, mentre adesso vediamo troppi campioni cambiare casacca in ogni momento. E anche badare a poco altro oltre ai propri ricavi economici e di immagine. Questa esposizione quotidiana ai media ha contribuito ad alterare gli equilibri. Credo che il punto di svolta sia stato la Sentenza Bosman, che ha conferito ai giocatori un potere contrattuale fino a quel momento inimmaginabile.
Qual è la maggiore difficoltà che un calciatore affronta quando giunge l’ora di appendere le scarpe al chiodo?
Si tratta di un cambiamento radicale e, se non si riesce a guadagnarsi un proprio spazio ed equilibrio nella vita quotidiana lontana dai riflettori, è facilissimo ritrovarsi scombussolati, senza più un punto di equilibrio. Per molti la migliore prospettiva è quella di riuscire a rimanere all’interno del mondo del calcio come allenatore, preparatore atletico o dirigente. Ai miei tempi era diverso, però. Coi miei compagni di squadra il discorso ricorrente era quello di riuscire ad aprire una tabaccheria con i compensi ricavati durante gli anni trascorsi a giocare da professionista. Avevamo una consapevolezza differente, forse legata al fatto che in quegli anni le carriere erano molto più brevi e i guadagni notevolmente minori.
I trascorsi in bianconero
Dalle pagine del romanzo di Giorgio Bernard, oltre alla sua bravura, emerge anche uno smisurato senso del dovere, una spiccata moralità e una grande dedizione. Camus sente di dovere queste virtù al calcio. Anche per lei è stato così o pensa di aver avuto successo nel mondo dello sport perché possedeva già queste caratteristiche?
Un giornalista poco tempo fa mi ha detto che, dati i miei trascorsi in bianconero, avrei potuto e dovuto mettermi maggiormente in evidenza, gonfiare i muscoli, per così dire. Invece nel corso di tutta la mia vita ho badato a tutt’altro. Cosa vuole che le dica: è probabile che la formazione ricevuta nei primi anni a Torino, da precettori e allenatori, abbia contribuito a delineare il mio carattere, il mio senso del rispetto dei ruoli e per compagni, società di appartenenza e avversari. In buona parte credo possa aver contribuito anche il mio carattere: schivo e riservato… anche se in campo ero decisamente più sanguigno e battagliero. Nella frase di Camus riportata in quarta di copertina del mio romanzo mi sono ritrovato: non so come portiere, ma come scrittore era veramente eccezionale.
Giorgio Bernard: le domande
Leggendo “Come un’onda che si tuffa sullo scoglio” si percepisce anche il tuo coinvolgimento personale nei confronti del tema. Sei un tifoso convinto oppure ti sei appassionato al calcio grazie alla storia di Roberto Tancredi?
Sono un appassionato di calcio fin da quando ero bambino, anche se non credo di poter essere definito un tifoso vero e proprio. Quello che del calcio mi ha sempre colpito, accendendo la mia fantasia, è la sua imprevedibilità, la sua intrinseca e non voluta potenzialità democratica. In tutti gli altri sport vince chi è più forte, chi nuota più veloce oppure è in grado di saltare più in alto. Nel calcio no, esistono imprevedibili alchimie capaci di trasformare una banda di brocchi in una squadra coesa e fortissima, capace di oscurare, anche solo per novanta minuti, una compagine ritenuta imbattibile. Rimanendo in tema di portieri, l’unico estremo difensore che riuscì a parare un rigore a Maradona non fu Zenga o un altro celebrato campione, ma una figura di secondo piano, un comune e misconosciuto eroe che, forse per un momento di distrazione del grande campione, forse per un’imperfezione del terreno di gioco, riuscì a legare indissolubilmente il proprio nome a quello del Pibe de Oro… per sempre.
Uno scrigno di ricordi e informazioni
Il tuo racconto è accurato e pieno di dettagli, molti, soprattutto le impressioni e i ricordi personali, di sicuro ti sono stati riportati dallo stesso Tancredi, ma si comprende che è stata fatta comunque una meticolosa ricerca. Come hai reperito queste informazioni?
Dire che il contributo di Roberto è stato fondamentale sarebbe riduttivo. Il mio compagno di avventura è uno scrigno di ricordi e informazioni, ognuna precisissima, inattaccabile. Tuttavia è vero che le sue testimonianze sono state accompagnate da un lavoro di verifica maniacale. Un esempio su tutti è rappresentato dalle azioni di gioco che appaiono nel romanzo. Per rendere conto delle loro dinamiche ho scaricato e visionato le partite dell’epoca (alcune addirittura antecedenti alla mia nascita), eseguendo quella che potremmo definire una radiocronaca in differita… di appena una cinquantina di anni. Mi sono sentito una specie di Niccolò Carosio, l’occhio socchiuso per non perdere un solo dettaglio di gioco e il microfono dell’EIAR stretto fra le dita, emozionato quanto lui e forse ancor di più, a commentare un gesto atletico per me fino a quel momento sconosciuto.
È palpabile e contagiosa l’emozione provata da Gianluca nel conoscere Roberto Tancredi: l’uomo trascura perfino le chiamate dell’agente immobiliare, che cerca di risolvere il problema dell’appartamento. Com’è stato, invece, il tuo primo incontro con il protagonista di questa storia?
Inutile girarci intorno: il Gianluca Congiu del romanzo sono io, anche se non sono entrato in quel famoso bar in una giornata di pioggia e non ho avuto bisogno di imbattermi in una bacheca piena zeppa di foto per capire chi mi ritrovavo di fronte: Roberto Tancredi era il mio idolo da sempre.
Clara Zennaro
Conclusioni
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